L’Etna sotto speciale osservazione

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L’Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell’ambiente (Irea) del Cnr di Napoli e l’Agenzia spaziale italiana (Asi), lavorano al progetto, ancora in fase sperimentale, che si propone come supporto alle decisioni nella gestione del rischio vulcanico

Monitorare, mediante l’elaborazione dei dati registrati dai radar satellitari, i vulcani «pericolosi» e osservare le loro possibili deformazioni delle superfici esterne, questo il compito del progetto «Sistema rischio vulcanico» promosso dall’Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell’ambiente (Irea) del Cnr di Napoli e dall’Agenzia spaziale italiana (Asi). Solo alcuni i vulcani monitorati e nel dettaglio l’Etna, i Campi Flegrei e il Vesuvio e di questi tre vulcani «sotto esame», è comunque l’Etna a presentare una più importante attività. Recentemente si è rilevato che, l’Etna si dilata e si vuota ciclicamente come conseguenza della ricarica del serbatoio magmatico, deformandosi fino a produrre fessurazioni ed «eruzioni di fianco».

Ma come funziona operativamente il sistema?

Il «Sistema rischio vulcanico» permette una frequenza d’analisi quasi mensile (ogni 35 giorni, per la precisione), analisi effettuata al passaggio del satellite europeo Envisat, un sofisticato «radar ad apertura sintetica» (Sar). Nella tecnologia di funzionamento sta la vera accuratezza del risultato; il radar, infatti, invece di utilizzare la luce come una comune macchina fotografica, si avvale di una radiazione elettromagnetica a microonde, simile a quella dei cellulari o dei forni. Ed è proprio l’utilizzo di questa radiazione che permette un’acquisizione di immagini anche di notte e quando il cielo è coperto.

Dopo la prima fase del lavoro, consistente appunto nella ricezione dei dati, l’operazione prosegue con l’elaborazione delle stesse ad opera di un’innovativa tecnica Sbas (Small Baeline Subset), sviluppata presso l’Irea. Ed è questa tecnica che, combinando e confrontando le immagini nel corso del tempo, rende possibile seguire l’evoluzione della deformazione, come in un film. La tecnica Sbas consente misurazioni dettagliate al centimetro, risultato eccezionale se si considera che i satelliti operano a una distanza di circa 800 km dalla superficie terrestre.

Inoltre è utile rilevare che, a dispetto di quanto accade per i satelliti per telecomunicazione, quelli per l’osservazione della Terra non si trovano in orbita geostazionaria, cioè in una posizione fissa nel cielo, ma sorgono e tramontano ciclicamente, in modo che le immagini da confrontare siano riprese esattamente dalla stessa posizione, ogni 35 giorni. Come ultimo elemento, a corredo di una tecnologia già fortemente innovativa, l’Irea-Cnr hanno sviluppato una piattaforma web basata su una interfaccia Google Maps, attraverso la quale chiunque può consultare i risultati della tecnica Sbas.

Sansosti, referente dell’Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell’ambiente di Napoli, afferma che «il progetto, anche se in fase sperimentale, si propone come supporto alle decisioni nella gestione del rischio vulcanico, utilizzando anche dati acquisiti da altri satelliti e con il coinvolgimento di partner quali l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), l’università di Modena e industrie come Advanced Computer Systems Acs Spa e Galileian Plus Srl».

Un plauso a questo team di istituti di ricerca e di aziende che hanno posto come prima motivazione di esistenza la ricerca al servizio della gestione scientifica del rischio vulcanico in una terra, l’Italia, fortemente minata da questa peculiarità geologica.