Un incontrollata e «globalizzata» corsa alle biomasse accresce il rischio delle ricerca unicamente incentrata sul massimo profitto, senza troppi scrupoli riguardo la trasformazione di vaste aree in piantagioni monoculturali
Lo sviluppo di energia elettrica da biomassa agricola e forestale imposto dal mercato globale risulta eccessivo se rapportato all’effettiva disponibilità della biomassa necessaria per mantenere adeguati i rendimenti. Allora, la reazione a questa situazione può essere o bruciare anche non solo biomasse o adeguare i terreni prossimi alle mega-aziende a colture utilizzabili che siano di rapida riproduzione.
Ma analizziamo dal punto di vista prettamente ambientale la localizzazione di una potenziale centrale a biomassa. In linea teorica, si dovrebbe preferire un luogo vicino alle materie prime da bruciare per creare energia. E allora dove la crescita delle biomasse è maggiore? Il tutto dipende da condizioni climatiche favorevoli e strettamente legate a:
– radiazione diretta – clima locale – temperature mensili;
– regime pluviometrico – regime anemometrico;
– nutrimenti del suolo.
Oltre a questi elementi, ci sono anche altri argomenti da non sottovalutare che sono strettamente connessi al tema «biomassa». Innanzitutto, il pericolo di rendere in fertili i suoli: inoltre, disboscare foreste per coltivare specie a ciclo annuale o addirittura a ciclo più breve rappresenta un importante peggioramento della capacità di accumulo del carbonio da parte della stessa biomassa. Per non parlare poi delle emissioni in atmosfera; la combustione di biomassa comporta la formazione di inquinanti quali il monossido di carbonio (CO), gli ossidi di azoto (NOX), gli ossidi di zolfo (SOX), i composti organici volatili (COV), le polveri sottili (PM10: particelle con diametro aerodinamico inferiore a 10 millesimi di millimetro; PM2,5: particelle con diametro aerodinamico inferiore a 2,5 millesimi di millimetro).
Queste emissioni dirette, prodotte dalla centrale, sono sicuramente da aggiungere a quelle prodotte dai mezzi pesanti che giornalmente dovrebbero circolare per consentire il trasporto del combustibile necessario per il normale funzionamento dell’impianto. Importante anche valutare il ruolo che le emissioni prodotte dal traffico e dalla centrale possano avere nella formazione di molecole di origine secondaria. Questi inquinanti (ozono, polveri, ecc.) sono definiti «transfrontalieri» per le loro specifiche caratteristiche di permanenza nell’atmosfera e per la loro grande capacità di essere trasportati su lunghe distanze.
Ma vediamo cosa si dice in merito alle biomasse nel mercato internazionale. Un recente documento dell’Onu-Fao evidenzia opportunità e rischi derivanti da una incontrollata e «globalizzata» corsa alle biomasse ed evidenzia il rischio della ricerca unicamente incentrata sul massimo profitto (sfruttamento di terreni già fertili, anziché piantumazione in zone marginali da sottrarre alla desertificazione, riconversione da «food» a «no food» delle colture tradizionali di cereali ed oleaginose), senza troppi scrupoli riguardo la trasformazione di vaste aree in piantagioni monocolturali con la stessa devastante politica economica delle piantagioni di canna da zucchero o di soia o di cotone, ecc.
Ma quali sono le diverse tipologie di biomassa?
In primis abbiamo la biomassa agricola che, anche con le migliori selezioni colturali, può raggiungere benefici crescenti, spremendo più energia per unità di superficie, con l’effetto, però, di aumentare gli apporti energetici verso l’esterno, vanificano, pertanto, in parte l’obiettivo primario di riduzione dell’effetto serra.
Più accettabile risulta, invece, la filiera delle biomasse forestali, se, però, ci si limita a sfruttare il legname derivante dalla cura annuale di un bosco in crescita e poi a sfruttarne la biomassa solo dopo anni o decine d’anni di sviluppo, allorquando, dapprima si consegua il principale effetto di aver realizzato un accumulo di carbonio sottratto all’atmosfera tramite la fotosintesi, poi, dopo il taglio, il legname migliore per molti anni ancora, venga usato come legname d’opera (travi, tavolame, infissi, mobili, ecc.). Chiaramente dalla sola manutenzione forestale si ricavano ben poco.
Fatte queste premesse si ritiene che la convenienza economica di un certo tipo di sfruttamento della biomassa sia artificiosamente gonfiata e provochi anche tensioni sui mercati delle risorse agricole alimentari di base (mais, riso e canna da zucchero sono saliti di prezzo) determinando sconcerto e indecisione nel mondo agricolo. Poi, nei paesi tropicali, la questione «biomassa» è da verificare per caso specifico. Infatti, nei suddetti paesi, se la coltivazione di biomassa significasse finalmente un accesso all’energia nelle aree rurali, la cosa potrebbe anche funzionare, ma se il tutto fosse soltanto legato a imporre monocolture, per di più tutte ogm, e con contratti tutti a favore dei paesi importatori, si assisterebbe ad un ulteriore disastro socio-ambientale.
Da quanto detto, si tirano le seguente conclusioni:
- bisogna puntare alla generazione distribuita «autosufficiente» da biomassa, accontentandosi di piccoli impianti che rispettino normative per i limiti di inquinamenti e che onorino le caratteristiche locali dei siti scelti per l’insediamento delle «centrali»;
- bisogna ricordare che la biomassa è rinnovabile ed ecologica quando funziona come magazzino di carbonio in quanto, la CO2 emessa per la produzione di energia non rappresenta un incremento dell’anidride carbonica presente nell’ambiente, ma è la medesima che le piante hanno prima assorbito per svilupparsi e che alla morte restituiscono all’atmosfera attraverso i normali processi degradativi della sostanza organica; pertanto, ottima procedura è una corretta, prudente e sostenibile gestione dei boschi e delle foreste nel tempo;
- le colture dedicate alla produzione di biomassa sono ecologicamente compatibili purché i suoli non vengano sfruttati per l’unico fine di creare «campi monoculturali» di veloce riproduzione, rinunciando alle peculiarità dei luoghi e con l’aggravio dell’inaridimento dei suoli;
- utile risulta ricordare che qualunque iniziativa che veda l’importazione di un qualcosa (biomassa, nel caso specifico) da altri paesi è soggetta a 2 rischi: impoverire o condizionare quelle popolazioni attraverso regole di mercato assai poco attente agli effetti socio-ambientali; rendere uno stato dipendente da un altro.
Insomma non solo aspetti positivi nella grande realtà delle biomasse, alla base c’è tanta professionalità nelle scelte tecniche e buon senso nei modi in cui le stesse vengono applicate.