Non v’è dubbio che ha saputo trovare, sia pure in numero ridotto e assumendo costumi spiccatamente criptici, qualche ultimo rifugio segreto e inviolabile
Nei mesi scorsi notizie intermittenti sulla ricomparsa della Foca monaca sono affiorate sporadicamente qua e là in tutti i mari attorno all’Italia: Jonio, Tirreno e da ultimo anche Adriatico. Sembra così che il miracolo lungamente sperato si stia finalmente compiendo, e che la principessa del Mediterraneo stia davvero tornando a frequentare i nostri mari. Silenziosa, discreta, sorprendente come sempre.
Erano decenni che qualche grande sapiente continuava a proclamare che la Foca monaca era ormai definitivamente scomparsa, ma in pochi sapevamo bene che non era vero del tutto, e che qualche coppia segreta o dimenticata, celata negli angoli più inaccessibili della costa, continuava a sopravvivere, riuscendo persino a riprodursi. C’era chi non voleva proprio crederlo, perché molti luoghi tradizionali del passato non venivano più frequentati, e soprattutto perché per salvarla erano state profuse alluvioni di chiacchiere, senza alcun costrutto.
L’assioma dominante nell’ultimo terzo del Ventesimo secolo era stato infatti molto chiaro: «Non bisogna far nulla: qualsiasi programma di protezione della Foca monaca a livello nazionale, in Italia, sarebbe destinato al fallimento». Amen, e così sia…
E invece no, bisogna fare qualcosa: la natura, da parte sua, sta già offrendoci molti segnali positivi, occorre però saperli cogliere al momento giusto. Perché le molte timide ricomparse di questo animale innocente e perseguitato svelano non solo segreti rifugi, ma anche straordinari sforzi di sopravvivenza, ai quali dobbiamo rendere omaggio, lasciando tranquilli e intatti lembi di costa, anche in un mare intensamente frequentato come il nostro Mediterraneo.
È vero che ormai quest’animale timido e schivo non trascorre più parte della sua giornata pigramente disteso sulle incantevoli spiagge e nelle tranquille calette dei nostri mari, troppo alterate e invase da un turismo troppo rumoroso e devastatore.
Né può più rifugiarsi nelle grandi grotte d’un tempo, perché ormai battelli e gommoni penetrano senza scrupoli anche nelle cavità marine più fragili e delicate. E se poi volesse celarsi, come estremo rifugio, nelle grotte sottomarine più segrete, quelle senza aperture visibili, dove si può penetrare soltanto se si conosce e si affronta un sifone subacqueo lungo e tortuoso, cosa troverebbe poi una volta uscita all’aria aperta? Certamente soprattutto imbarcazioni e rumori, reti e motoscafi, e magari anche petulanti acquascooter capaci di disturbare ogni angolo di costa.
Non v’è dubbio però che la Foca monaca ha saputo trovare, sia pure in numero ridotto e assumendo costumi spiccatamente criptici (come i cristiani nelle catacombe), qualche ultimo rifugio segreto e inviolabile: perché nell’ultimo decennio ha ripreso a mostrarsi sporadicamente qua e là, soprattutto nel Mezzogiorno e negli arcipelaghi intorno alla Sardegna e alla Sicilia. Avvistata e talvolta fotografata soprattutto nelle stagioni più tranquille, e nei luoghi più inaspettati: non solo nelle grandi e piccole isole, ma anche in Basilicata, Lazio e Toscana, qualche volta chiaramente al seguito dei banchi di pesci trascinati sottocosta dalle correnti. Una quantità di avvistamenti dovuti al reale incremento dei nuclei superstiti di questo Pinnipede, o frutto soltanto della accresciuta «percezione» culturale e sociale del fenomeno?
Un fatto importante va anzitutto chiarito: queste segnalazioni non rappresentano in realtà che un decimo, o forse meno, degli avvistamenti effettivi, e degli incontri ravvicinati che si verificano nel corso dell’anno tra l’uomo e la sirena del Mediterraneo. La maggior parte di questi eventi, infatti, sfugge all’attenzione mediatica e rimane soltanto un piccolo aneddoto locale, e in molti casi non viene neppure rivelata e riportata. Le ragioni sono molteplici: perché non si ritiene sia una notizia importante e valga la pena di farla conoscere, e qualche volta anche perché non si è proprio certissimi del riconoscimento. Ma per lo più il silenzio è imposto dalla paura che sulla zona si accendano i riflettori dell’attenzione generale, si scateni la calata di curiosi e disturbatori, piombino all’improvviso controlli e divieti: e magari da un giorno all’altro non si possa più andare a pesca. Un timore e riserbo forse eccessivi, ma certamente indotti dalle strategie miopi e settoriali, di stampo accademico-specialistico, che hanno finora accompagnato l’istituzione dei Parchi Marini: non a caso rimasti spesso soltanto sulla carta, come pie intenzioni non accompagnate da alcun tentativo serio e concreto di far coesistere la rigorosa conservazione con un indispensabile ecosviluppo, fondato sulle culture e tradizioni locali e sul moderno ecoturismo.
Negli anni più recenti, comunque, la cronaca e la rete informativa «sommersa» del Comitato Parchi-Settore Mare hanno raccolto notizie di presenze certe da oltre metà della Sardegna e della Sicilia, per non dire delle zone più settentrionali. Memorabile l’avvistamento della Foca monaca la scorsa estate all’Isola del Giglio, le cui immagini riprese per caso da un turista hanno invaso le cronache nazionali: riesaminando con attenzione il filmato, però, gli esperti hanno dovuto constatare che non si trattava di un solo individuo, bensì di una coppia, il cui maschio tentava di avvicinare una femmina piuttosto ritrosa. A completare il quadro è giunta, nella primavera di quest’anno, la splendida notizia di un’altra coppia che si aggirava nell’alto Adriatico, attorno alle coste dell’Istria oggi facenti parte della Croazia… Attendiamo ora la vera novità: qualche sicuro avvistamento potrebbe essere registrato finalmente anche lungo le coste del Salento o della Calabria, e soprattutto delle Isole Tremiti, dove il Pinnipede potrà trovare, se noi lo vorremo davvero, nuovo sicuro rifugio.
In conclusione, anche se il futuro non è sempre roseo, le condizioni essenziali perché la Foca monaca possa tornare ad abitare stabilmente, con popolazioni vitali, il «mare nostro» non mancherebbero. Per favorire questo ritorno, basterebbe rilanciare la storica Operazione Bue Marino, punto di forza della vivace campagna per «Un Mare di Parchi Blu» lanciata esattamente vent’ anni fa dal Comitato Parchi.
Gli obiettivi dell’Operazione erano e sono chiari, precisi, immediati: rispettare gli angoli più intatti della costa, creando almeno una trentina di luoghi riservati alla natura e alla fauna marina, i cosiddetti Approdi Blu. E trasformare questa rara creatura nel simbolo stesso del riscatto del Mediterraneo, coinvolgendo tutta la gente del mare, soprattutto i piccoli pescatori; e preparando i loro figli a diventare i futuri «custodi» del bue marino, prezioso indicatore ecologico della qualità delle acque. Perché proteggere la Foca monaca con tutto il suo meraviglioso ecosistema significa, sicuramente, anche contribuire a salvare il mare.