Tecnologia sì ma con cautela

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Un quadro in chiaroscuro del nostro rapporto con la tecnologia. Siamo convinti che aiuti, ma anche prudenti e, in grande maggioranza, contrari a Ogm e nucleare. Informati su web ed energie, però non su nanotech, clonazione e farmaci intelligenti. Il contatto umano? Prevale. E la donna è considerata «meno tecnologica». Nord e Sud staccati solo su alcuni aspetti

L’indagine sulla cultura dell’innovazione in Italia 2010 (realizzata dall’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche, Irpps-Cnr, di Roma) è al suo secondo anno di realizzazione con alcune novità: la caratterizzazione regionale, il raddoppio delle interviste (da 2000 a 4000) e la presa in esame di una sola classe d’età, 30-44 anni, particolarmente significativa per il tema.

Il Rapporto, realizzato in collaborazione con Cotec-Fondazione per l’innovazione tecnologica e con il mensile Wired, segnala innanzitutto che per il 70% la tecnologia è utile per conciliare vita personale e professionale e per sfruttare meglio il tempo. In un’ipotetica «bilancia tecnologica» dei rischi-benefici, su dieci opzioni, presentano un saldo negativo solo Ogm e nucleare, su cui è ben disposto solo il 24,5% degli uomini e il 16,7% delle donne. Per tutte le altre (energia solare e rinnovabili, internet, cellulari, medicine e nuove tecnologie mediche, treni ad alta velocità, adeguamento di tutte le tratte ferroviarie nazionali, inceneritori e termovalorizzatori) i benefici superano i rischi percepiti. Ad esempio, si conferma dallo scorso Rapporto la visione positiva dell’uso delle cellule staminali: un’occasione da cogliere per il 64%.

«Il concetto di innovazione è legato soprattutto a quello di sviluppo, sia per gli uomini (47,1) sia per le donne (47,8%), mentre quello di rischio è percepito come un pericolo in particolare dalle donne (44,8% contro il 38,1 dei maschi) – spiega il direttore dell’Irpps-Cnr, Sveva Avveduto -. L’innovazione è considerata ad esempio utile per aumentare i posti di lavoro e andrebbe dunque applicata nelle imprese (17%), investendo in formazione permanente (16%) e di base (12%) ma soprattutto innovando nella società a tutti i livelli (25%)»”.

Amplissima la maggioranza per le posizioni di cautela: oltre l’80 per cento è in disaccordo con l’immettere sul mercato prodotti e servizi innovativi a velocità eccessiva, al fine di avvantaggiare la società, e più del 70% è a favore del «principio di precauzione» sull’uso delle tecnologie.

Ma chi deve decidere su questi temi? Prima di tutto gli scienziati, poi «tutti i cittadini», a conferma della preferenza per la partecipazione diretta su quella rappresentativa, benché gli italiani si sentano ben informati solo su alcuni temi, quali la trasformazione della spazzatura in combustibile e i pannelli solari e fotovoltaici, il web 2.0, internet più avanzato e i social network (usa il web l’86% dei 30-44enni e il 96,7% di quelli occupati di alto livello). Ammettono altresì di essere poco o per nulla informati su nanotecnologie (il 72,8%), clonazione terapeutica (74,6%) e farmaci intelligenti (63,9).

«Il contatto umano prevale sulla tecnologia: non rinuncerebbe per una settimana a incontri gli amici il 56,3% e a sentirli al telefono il 23,1; molto più facile staccare email o sms (5,2%) e social network (3,6%) – prosegue Adriana Valente, autrice dell’indagine -. Nell’acquisto di un prodotto telefonico, audio e video, il 48,7% identifica l’affidabilità con la notorietà del marchio e, dopo i costi, incidono le qualità ecologiche più di quelle funzionali e del design».

Secondo l’83% degli italiani l’innovazione tecnologica ha migliorato la qualità di vita delle donne, ma solo il 60% pensa che migliorerà anche quella delle generazioni future. In generale, l’82% giudica la vita femminile odierna migliore di quella precedente ma appena il 48% pensa che le donne di domani avranno una vita ancora migliore.

«Il 92% ritiene che l’istruzione universitaria sia ugualmente importante sia per un ragazzo che per una ragazza, ma il 29% ritiene che le donne siano più adatte allo studio delle discipline umanistiche, il 25,3% che affrontino il lavoro con minore razionalità e quasi il 30% che gli uomini sfruttino meglio la tecnologia nell’ambiente di lavoro – avverte la coautrice del rapporto, Loredana Cerbara -. Emerge insomma una immagine della donna meno “tecnologica”, tanto che solo il 28% è pienamente d’accordo che la tecnologia sia un’opportunità per diminuire lo svantaggio femminile nel lavoro, anzi potrebbe essere una “trappola”, come parrebbe dalle risposte sul rischio che la tecnologia finisca per aumentare il tempo lavorativo delle donne: il 39% è d’accordo, il 25% solo in parte, il 30% in disaccordo».

Da segnalare inoltre il 29% del campione secondo cui in un momento di crisi è meglio che siano gli uomini a conservare il posto, anche se solo il 14,6% ritiene che i maschi siano «capi» migliori e appena il 12,8% che siano migliori leader politici.

Infine, alcune specificità regionali evidenti: la suscettibilità al «marchio» dei prodotti hi tech, oltre il 50% in quasi tutto il Centro-meridione; il maggior bisogno di informazione sulla tecnologia in Sardegna, Campania e Basilicata; la differenza nell’uso di internet, dove sono leader Friuli Venzia Giulia (94%), Emilia Romagna (93,5%) e Trentino Alto Adige (91,5%), mentre Campania (26,1%), Sicilia (24%) e Calabria (21,7%) sono in coda; la minor propensione a pensare che l’innovazione abbia migliorato la vita delle donne al Sud; il maggiore uso dell’home banking al Nord. Le regioni sono molto vicine, invece, nella percezione di rischi e benefici dell’innovazione, sul ruolo degli scienziati nel processo decisionale e sull’energia nucleare.

(Fonte Cnr)