L’adattamento ai cambiamenti climatici può offrire nuove opportunità lavorative con la creazione di nuove professionalità. In molti Paesi europei sono già state attuate scelte strategiche per controbattere questo problema, l’Italia insieme a pochi altri paesi sta molto indietro
L’adattamento ai cambiamenti climatici può offrire nuove opportunità lavorative con la creazione di professionalità e esigenze socio-economiche e culturali. In molti Paesi europei sono già state attuate molte scelte strategiche per controbattere questo problema, l’Italia insieme a pochi altri paesi sta indietro.
Se n’è discusso a Ecomondo durante il convegno curato dall’Enea Bologna e la Scuola Superiore Sant´Anna di Pisa e dedicato proprio alle nuove professioni che possono svilupparsi nell’ambito delle nuove esigenze territoriali dovute ai cambiamenti climatici.
«L’adattamento» viene inteso come prevenzione strategica di un rischio che cambia nel tempo (Vincenzo Ferrara, Enea-Roma) ed è una delle due strategie atte ad affrontare questo problema globale. L’altra strategia è la mitigazione con cui si cerca di ridurre le cause antropiche che possono indurre i cambiamenti climatici.
La constatazione che questo problema del clima è globale e che i cambiamenti climatici sono indotti dall’attività umana avviene già nel 1992, quando le Nazioni unite decidono di affrontare il problema cercando di ridurre le cause e ridurre le eventuali conseguenze. Nasce così la Convenzione quadro delle nazioni unite sui cambiamenti climatici.
Successivamente dopo gli studi approfonditi sugli effetti causati dal mutamento climatico si susseguono negli anni ulteriori limitazioni alle cause, trattando l’argomento con maggiore consapevolezza, tale da arrivare al 2009 alla realizzazione da parte della Comunità europea, del «Libro bianco».
Il libro mette in evidenza quattro finalità che lo rendono più dettagliato rispetto ai lavori precedenti, focalizzando gli impegni degli Stati membri per prepararsi a fronteggiare il problema. I punti sui quali il libro pone l’attenzione sono le attuazioni di: politiche di ricerca scientifica per poter costruire così una base conoscitiva e conoscere ciò che realmente succede; politiche di sviluppo economico in grado di introdurre gli impatti dei cambiamento climatici nei vari settori (turistico, agricolo, ecc.); politiche finanziarie, in quanto bisogna stanziare risorse per poter fare tutto questo e infine politiche di cooperazione internazionale, in quanto un’azione integrata e coordinata avvalora maggiormente l’azione di adattamento.
Poi nel 2012 è prevista la presentazione del Quadro di riferimento europeo sull’adattamento in termini di politiche strategiche da seguire, e poi nel 2013 la Direttiva europea sull’adattamento (V. Ferrara).
Allo stato attuale 20 paesi hanno già attuato il Piano strategico di adattamento nazionale, tra cui la Gran Bretagna, l’Olanda, la Spagna sono avanti nell’attuazione del Piano, mentre in Italia, Bulgaria, Cipro, Grecia Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia tutto questo manca.
In Italia manca il termine di adattamento. I decision maker in Italia vedono il settore «rischi» in modo settoriale, non hanno una visione d’insieme. Non ci sono dati di base tali da poter interconnettere e poter delineare lo stato dell’Italia… che non versa in buone condizioni, basta pensare alla scarsità delle risorse idriche, alle risorse ambientali, ai problemi legati alle aree costiere, alle risorse marine, allo sviluppo economico (pesca e turismo per esempio). L’Italia ha necessità ad avere un Piano strategico di adattamento! (V. Ferrara).
A oggi l’Italia risulta avere una scarsa volontà ad utilizzare strumenti tecnologicamente avanzati che già ci sono (Enrico Cancila, Ervet-Bologna) e che hanno anche professionalità pronte ad utilizzarle per poter sostenere studi di adattamento.
I decisori italiani dovrebbero guardare all’adattamento come ad una opportunità di ricerca, ad un modo per ottenere dati importanti, a dare impulso a nuove ricerche di innovazione. L’attuazione dell’adattamento avviene in molti settori, nei quali si potrebbero ottenere nuove figure legate al green job che si potrebbero occupare per esempio, nel caso del rischio da erosione di: azioni di difesa, delocalizzazione, monitoraggio, sviluppo di modelli turistici alternativi, educazione e formazione (Edi Valpreda, Enea-Bologna).
Queste realtà si hanno solo in piccole «isole felici». Ci sarebbero dunque nuove professioni, nuove possibilità di ricerca ma manca finora la voglia di attuare questo meccanismo dell’adattamento ai cambiamenti climatici. Anche quando vengono approvate norme, come nel caso del rischio sismico, risultano essere comunque non esaustive in quanto non sono retroattive… manca la visione strategica del problema! (E. Valpreda)
In Italia mancano i finanziamenti giusti, tali da poter attuare progetti importanti per il futuro. La situazione ambientale italiana è in pessime condizioni… vedi la situazione delle coste, le frane, il rischio idrogeologico, il rischio sismico, la desertificazione del territorio, ecc.
Cos’altro ancora deve succedere sul territorio italiano per far sì che i decisori si rendano conto che è strettamente necessario finanziare studi sugli adattamenti ai cambiamenti climatici e alla delineazione del Piano stategico?