Durante il ponte di Ognissanti, l’intera penisola è stata attraversata da una perturbazione atmosferica che si è spostata da nordovest a sudest con eventi di pioggia che hanno praticamente interessato tutto il paese. Il maltempo ha dapprima messo in ginocchio il Centro Nord e, nelle ultime ore, ha colpito duramente anche le regioni meridionali. In Lombardia sono esondati il Seveso e il Lambro. In Veneto sono stati interessati dalle esondazioni dei corsi d’acqua i territori di 121 comuni, specie nel Veronese, nel Vicentino e nel Padovano, dove il Bacchiglione ha rotto gli argini costringendo l’evacuazione di alcune famiglie. È qui che si segnalano due vittime e un disperso.
In Friuli Venezia Giulia alcuni affluenti del Tagliamento sono esondati allagando alcuni quartieri di Pordenone, di Sacile e della Bassa pianura ai confini con il Veneto. Sono state chiuse al traffico numerose strade e alcune famiglie sono rimaste isolate.
In Emilia Romagna ha destato preoccupazione il livello del Po, dell’Enza e del Secchia; il Panaro è tracimato in alcuni tratti. Alcune frane sono state segnalate nel Modenese. In Liguria sono state segnalate frane nell’Imperiese. In Toscana ci sono state tre vittime per frana in provincia di Massa Carrara e molte persone sono state evacuate dalle case interessate dal dissesto che ha provocato anche la chiusura di alcune strade provinciali.
In Campania si sono avuti numerosi allagamenti nonché centinaia di alberi e cartelloni pubblicitari abbattuti dal forte vento. In Basilicata fenomeni franosi hanno provocato l’interruzione del traffico ferroviario e allagamenti sono stati segnalati in provincia di Matera.
In Puglia forti nubifragi e allagamenti hanno interessato le province centro settentrionali ed il Tarantino. In Calabria allagamenti a Vibo Valentia a Cosenza e nella Piana di Gioia Tauro. Frane sono segnalate nella zona di Tropea dove si conta anche un disperso nei pressi di un torrente in piena. Infine in Sicilia si sono registrati frane e allagamenti nel Messinese con interruzioni della viabilità e isolamento di alcune famiglie.
Come commentare questo ennesimo evento calamitoso?
Dal punto di vista scientifico, i fenomeni naturali sopra descritti rientrano nella normalità. È normale infatti che in autunno (così come pure in primavera, stagioni nelle quali si concentrano le precipitazioni nel nostro Paese) si registrino piogge di tali intensità e durata. È normale che le piogge, a un certo grado di intensità e durata, cadendo su un territorio geologicamente giovane e strutturalmente fragile come quello italiano, causino fenomeni pericolosi quali inondazioni e frane in zone che i bravi geologi classificano appunto come pericolose.
Sarebbe normale (ma evidentemente risulta molto complicato) che in tali zone, pericolose per instabilità di versante o perché troppo vicine ai corsi d’acqua, l’uomo non esponesse dei beni e, come minimo, non ci andasse ad abitare, in modo da non creare, in una zona pericolosa, degli elementi a rischio.
A tal fine, la nostra legislazione prevede che nei piani regolatori comunali le aree vengano classificate a seconda del grado di pericolosità geomorfologica per valutare l’idoneità all’utilizzazione urbanistica.
Come mai allora si incorre in danni alle strutture e a volte, purtroppo come in questo ultimo evento, in perdite di vite umane? Le ragioni devono rientrare evidentemente nell’elenco che si riportano di seguito.
1) Errata valutazione della pericolosità del territorio. In questo caso, il geologo professionista (non bravo) che ha apposto la propria firma alla relazione a supporto del piano regolatore rischia in prima persona.
2) Abusivismo: si costruisce cioè, in barba alla legge, nelle zone pericolose.
3) Utilizzo (purtroppo permesso dalla legge) di zone pericolose.
Quest’ultimo caso sembra inconcepibile ma è concreto. Infatti la legge prevede che in alcune zone pericolose, in cui già esistano dei beni esposti, ad esempio abitazioni, si costruiscano delle opere di difesa (ad es. argini artificiali) per ridurre la vulnerabilità di tali beni esposti e di conseguenza il loro rischio di essere colpiti dall’evento calamitoso (ad es. alluvione).
Ma la costruzione di un’opera di difesa non rende assolutamente quella zona meno pericolosa. E questo lo si è visto in questi giorni laddove ampi tratti di argini artificiali hanno ceduto a causa della piena del corso d’acqua e il territorio limitrofo, occupato anche da abitazioni, è stato inondato.
Addirittura la legge prevede che in queste tipologie di territori (pericolosi ma protetti da opere di difesa) non solo si mantengano le vecchie costruzioni (il che potrebbe essere ancora in qualche modo giustificabile) ma si possano prevedere espansioni abitative.
Il cittadino che andrà ad acquistare quei nuovi alloggi per abitarci è consapevole che quella è una zona pericolosa? Qualcuno lo avvertirà prima?
Come si può intuire, anche se indubbiamente sono stati compiuti passi in avanti dal punto di vista legislativo per mitigare il rischio idrogeologico nel nostro Paese, alcune concezioni sarebbero a nostro avviso da rivedere. E comunque non ci si può assolutamente fermare all’emanazione di una legge, anche per ipotesi perfetta, se questa non viene supportata da efficaci controlli per verificarne l’applicazione.
Infine, un ulteriore apporto alla consapevolezza da parte del cittadino della pericolosità della zona scelta come residenza, potrebbe essere fornito da forme assicurative nelle quali i premi crescerebbero naturalmente al crescere della pericolosità del sito.
(Luciano Masciocco, Società Italiana di Geologia Ambientale, Presidente della Sezione nordovest, Coordinatore dell’Area Tematica «Dissesto Idrogeologico»)