Cosa ci si aspetta dalla Cop16 a Cancun

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Bisognerà dire la verità. La situazione è grave e che non fa che peggiorare bisogna dire ciò che è necessario. Non è semplice agire sul clima. Stabilizzare il clima non può essere risolto a livello locale ma essendo un problema globale deve essere affrontato a livello globale. Ambiente e Clima sono dei beni pubblici di tutti e anche delle generazioni future.

Questo problema globale può essere affrontato e risolto solo se gestito dai paesi inquinatori quali: Stati Uniti, Unione europea, Cina, India, Russia, Brasile, Sud Africa, Giappone , Messico, responsabili del 75% delle emissioni climalteranti nell’atmosfera. Questi Paesi in occasione dell’incontro mondiale sul clima che si terrà a Cancún, da fine novembre (29) a inizio dicembre (10), devono trovare un accordo vincolante che prevede un piano pluriennale di misure per la riduzione delle emissioni dei gas serra e l’attivazione di flussi finanziari adeguati per sostenere nel loro sforzo di miglioramento nell’efficienza energetica i Paesi in via di sviluppo. Questo accordo vincolante deve essere efficace e credibile.

1) Superamento contrapposizione tra Paesi ricchi e Paesi poveri

Le condizioni per ottenere tutto questo sono essenzialmente due: la prima riguarda il superamento delle contrapposizioni di interessi tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Bisogna comprendere che i paesi più industrializzati hanno maggiori responsabilità in quanto in questi anni essi hanno sfruttato delle risorse naturali a basso prezzo per svilupparsi mentre i paesi in via di sviluppo hanno subito il degrado dell’ambiente causato dai paesi ricchi. Infatti ancora oggi il 20% della popolazione mondiale si appropria dell’80% delle risorse naturali.

L’accordo avrà esito positivo solo se i Paesi ricchi riconosceranno il concetto della «riparazione ecologica» che fa sì che gli otto paesi più industrializzati stabiliscono un piano di emissioni pro-capite (infatti un cittadino americano produce emissioni 16 volte di più di un indiano!) in quanto se venisse approvato un piano che imponesse riduzioni di emissione uguale per tutti gli stati questo porterebbe gli stati in via di sviluppo a fare uno sforzo maggiore in quanto stanno già affrontando il problema della crescita economica e l’incremento della popolazione interna. (R. Palea)

Considerando la situazione dal un punto di vista più ampio, considerando i diritti umani si arriva all’enunciazione esplicita del diritto di ogni persona e delle future generazioni ad un accesso equo a tutte le risorse naturali. Ogni persona al mondo deve poter usare gratuitamente l’atmosfera per qualsiasi azione che sia sostenibile.

Su questa base quindi dobbiamo cercare di affrontare il problema della gestione delle emissioni dei gas a effetto serra e dei permessi stessi sulle emissioni. È necessaria una «giustizia climatica», cioè una responsabilità comune anche se differenziata che possa portare i Paesi industrializzati ad una diminuzione delle emissioni di CO2 che a oggi si aggirano intorno alle 5 tonnellate di CO2 equivalente per persona per anno e dobbiamo raggiungere l’obiettivo di 1 t. L’Africa emette 0,2 t per persona per anno!

Se le risorse sono limitate ed è limitata la capacità del pianeta di far fronte alle nostre richieste allora Bisogna trovare un modo di gestirle consensualmente. Ecco perché la necessità di un governo mondiale e anche la capacità di capire che è in atto un cambiamento sostanziale della civiltà che consiste nel capire che ci sono dei beni non materiali altrettanto importanti che devono essere altrettanto considerati, quali la biodiversità, l’equilibrio del pianeta, l’acqua, l’adattamento al cambiamento climatico, ecc.). Si deve concepire la produzione materiale, sempre necessaria, in modo nuovo fatta col senso del non perdere nulla cercando di chiudere i cicli delle cose cancellando così la parola scarto e rifiuto. Così facendo riusciremo a dare un valore ai limiti che potranno rendere sostenibile la nostra civiltà attuale (V. Prodi).

2) Pianificare l’Organizzazione mondiale dell’ambiente

La seconda condizione per far sì che a Cancún si ottengano dei risultati efficaci e che si possa avviare la creazione di un’istituzione, l’Organizzazione mondiale dell’ambiente (Oma), che sia un’istituzione comune, indipendente e trasparente in grado di assumersi impegni concreti e iniziare così collaborazioni a livello globale che tenga presente i nuovi rapporti economici e politici nel mondo.

La funzione dell’Oma sarebbe quella di monitorare la situazione, coordinare le ricerche scientifiche e tecnologiche nel settore delle energie rinnovabili, nel settore del risparmio energetico, nello sviluppo delle reti e nell’Lca (valutazione del ciclo di vita, valutare tutte le fasi di un processo produttivo considerandole correlate), utilizzo delle risorse naturali e loro riciclo. Questo dovrebbe favorire lo scambio di tecnologie e finanziare nei paesi in via di sviluppo il loro sforzo di miglioramento ambientale.

La gestione dovrebbe essere applicata come nel caso della Ceca (Comunità europea del carbone e dell’acciaio), a cui il modello dell’istituzione si ispira, ad un’alta autorità internazionale indipendente e finanziata con risorse proprie.

3) La «carbon tax» mondiale

Queste risorse finanziarie proprie dovrebbero derivare da entrate automatiche, quale sarebbe l’istituzione della «carbon tax» mondiale, un’aliquota mondiale legata all’utilizzo dei combustibili fossili differenziata, in base al consumo dei combustibili fossili e in base alle emissioni di CO2 pro-capite. I vantaggi sarebbero evidenti perché si avrebbero risorse nel fondo dell’Oma e nello stesso tempo facendo levitare il costo dei combustibili fossili si arginerebbe anche il problema dell’inquinamento dovuto al consumo eccessivo dei carburanti fossili (Palea).

L’Ue potrebbe applicare la carbon tax «europea», deve solo imporsi potendo tassare le proprie energie fossili ma e allo stesso modo anche i prodotti stranieri provenienti da paesi che non fanno una politica di contenimento delle emissioni di CO2. L’Ue deve solo avere il coraggio politico che è quello di prendere decisioni dalle quali dipende il futuro non solo dell’Europa ma del mondo intero (Majocchi).

La carbon tax rappresenta l’importanza dello strumento stesso in quanto si interviene in maniera più omogenea e in alcuni casi si interviene a scapito di pratiche che devono essere superate (Maurizio Gubbiotti-Coordinatore della Segreteria Nazionale di Legambiente).

4) L’obiettivo del «post carbon»

La Ue deve imporre un nuovo modello energetico, basato sulle rinnovabili, un modello tale che possa portare ad una delocalizzazione energetica e che si ponga come obiettivo, non più il 20-20-20, che oramai è un concetto superato (L. Di Giacomo), ma il nuovo obiettivo del «post carbon». Un approccio nuovo con il quale la Ue dovrebbe saper dire in quanto tempo le emissioni saranno ridotte del 100% (A. Consoli).

Quindi uno scenario europeo prima e mondiale poi di una Europa «post carbon» che è stato già fissato come obiettivo dall’Ue con l’approvazione del documento simbolico, la Dichiarazione scritta del parlamento europeo del 2007 di cui primo firmatario fu Vittorio Prodi, per l’introduzione della terza rivoluzione industriale in Europa per un’economia dell’idrogeno verde che deve portarci verso un regime energetico ed economico delle rinnovabili distribuito (J. Rifkin).

5) Un nuovo protocollo

Bisogna richiamare l’attenzione su un nuovo protocollo che però non può far a meno del Protocollo di Kyoto. Oggi non si può ripartire da zero, come se il protocollo di Kyoto non fosse mai esistito, ma bisogna pensare ad un nuovo Protocollo che metta in campo azioni, strumenti, finanziamenti per sanare i danni provocati dai cambiamenti climatici.

6) La creazione di un governo europeo

Il governo europeo è necessario per far sì che possa essere gestita al meglio l’interdipendenza tra gli stati e che si possano prendere decisioni che solo a livello europeo possono essere prese, ma allo stato attuale non c’è la volontà politica che voglia affrontare questo, e che possa far approvare una costituzione europea (V. Prodi). Un governo europeo è necessario perché decisioni strategiche per la politica ambientale europea devono essere prese a livello europeo e non più dagli Stati membri che hanno ancora forti interessi economici politici propri tali da non agire per il bene comune.