Nucleare – Anche il Lazio dice «no»

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Si tornano a decantare i grandi vantaggi rispetto alle fonti energetiche tradizionali e a quelle rinnovabili: e si dimenticano esperienze recenti ed eventi passati, che dimostrano invece la totale illusorietà di avere a costi ridotti un nucleare moderno, pulito e privo di scorie pericolose

La lunga storia delle alterne corse al nucleare, che uno storico referendum aveva bandito dall’Italia, è davvero esemplare. Perché il mito della fusione e fissione dell’atomo, presentato come fonte miracolosa di energia e magica soluzione dei problemi dell’umanità, sta generando invece una vera e propria fuga precipitosa da parte di tutti coloro che lo vedono avvicinarsi alla propria realtà. E forse non hanno tutti i torti a decidere di bandire rischi superflui, valutare soluzioni alternative e seguire strade diverse. Puntando ad esempio a quel Piano energetico nazionale di cui l’Italia risulta incredibilmente ancor oggi sprovvista.

Dopo che le Regioni Campania, Basilicata e Puglia si erano affrettate ad emanare leggi contrarie, poi censurate dalla Corte Costituzionale, ora anche il Lazio si è dichiarato assolutamente indisponibile ad ospitare centrali nucleari sul proprio territorio. E nelle scorse settimane la Regione ha approvato a larga maggioranza una mozione del Verde Angelo Bonelli che esprime totale contrarietà ad ospitare il nucleare nel proprio territorio: una presa di posizione perfettamente coerente e legittima, che corrisponde alle corrette procedure indicate dai Giudici Costituzionali e fa venir meno i presupposti per una futura intesa Stato-Regione.

Come ogni altro grande dilemma ecologico, anche il nucleare ha sempre avuto sfrenati sostenitori e irriducibili avversari. L’obiettivo oggi sbandierato dai promotori è ovviamente quello di produrre quantità sempre maggiori di energia, a minor costo e in assoluta sicurezza. Secondo i responsabili dell’Economia, anzi, risiederebbe nel nucleare l’unica speranza per rilanciare il cosiddetto Pil: come se questo fosse davvero l’unico balsamo dell’umanità, e non una semplice misurazione econometrica. Imperfetta, e in gran parte superata, dato che quantifica solo la spesa, trascurando completamente la salute, il benessere, la qualità della vita e dell’ambiente.

Del nucleare oggi si tornano a decantare grandi vantaggi rispetto alle fonti energetiche tradizionali e a quelle rinnovabili: e così talvolta si dimenticano, o si finge di dimenticare, esperienze recenti ed eventi passati, che dimostrano invece la totale illusorietà di avere a costi ridotti un nucleare moderno, pulito e privo di scorie pericolose.

Ma certe verità non possono essere taciute, ed è giusto che la gente le conosca, anche se i giornali non sembrano dedicare troppa attenzione al problema. L’Accademia delle Scienze di New York ha pubblicato di recente un libro, in cui i più autorevoli esperti di Russia (Alexey Yablokov del Centro per la Politica Ambientale di Mosca) e Bielorussia (Vasily Nesterenko dell’Istituto di Radioprotezione di Minsk) hanno raccolto e sintetizzato i risultati di migliaia di studi specializzati pubblicati in lingue slave, e finora sostanzialmente ignorati nel resto del mondo. Le conclusioni sono sconcertanti, e per comprendere la portata planetaria del problema basterà limitarsi ad alcune constatazioni.

Anzitutto, circa un milione di persone sono morte a seguito del disastro di Chernobil del 1986 a causa delle radiazioni: che in realtà non erano affatto di 50 milioni di Curie, come era stato fatto credere in un primo momento, ma circa 200 volte maggiori, e cioè dell’ordine di 10 miliardi di Curie. Inoltre, da quella data in poi la percentuale di bambini considerati sani in Bielorussia, Ucraina e Russia europea è scesa repentinamente al 20%, e questo è forse il dato su cui sarebbe importante riflettere. Come si può infatti pensare che non abbia effetti disastrosi per la salute una continua esposizione a radiazioni superiori a centinaia di bombe atomiche, del tipo di quelle sganciate ad Hiroshima e a Nagasaki? Solo una cieca e incrollabile fede in un nucleare pulito e invulnerabile potrebbe indurre oggi a legare ad esso la propria vita, e il futuro dei propri figli.

Ma in questa diatriba senza fine c’è un altro aspetto che viene sempre dimenticato, e su cui sarà tempo di aprire gli occhi. Siamo proprio certi che il consumo di energia debba sempre aumentare in modo esponenziale? Non sarà forse il caso di puntare anche al risparmio? Oltre alla scelta di fonti alternative, la vera battaglia del futuro sarà infatti proprio quella di ridurre gli enormi sprechi e contenere le dispersioni dilaganti. E chi su questo insiste a mostrarsi scettico a oltranza avrebbe il dovere civile di documentarsi meglio.

Impossibile ridurre certi consumi e rimodellare l’attuale stile di vita? No, se lo volessimo davvero: occorre allora concentrare attenzione e studi su questo, piuttosto che su improbabili soluzioni fantascientifiche. Non si tratta affatto, come dicono con logora mentalità i facili detrattori, di «ritornare alla candela». Sappiamo tutti che la lampadina elettrica è stata nell’Ottocento una luminosa invenzione: ma poi, per realizzare lampade a basso consumo c’è voluto più di un secolo, perché pochi avevano ritenuto importante occuparsi di questo problema, che sembrava andare contro «lo spirito del tempo»… Non si tratta infatti di andar contro la «crescita», ma di intenderla in modo ben diverso: puntando anche sulla qualità, anziché soltanto sulla quantità. In un mondo così sconnesso e squilibrato come l’attuale, non sarebbe forse il caso di cambiar rotta, per puntare verso lidi più tranquilli e porti sicuri?

 

Franco Tassi