In Niger disastrosa contaminazione radioattiva

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L’11 dicembre scorso è accaduto, in una miniera di uranio presso Arlit e Akokan, un disastro ambientale di vaste dimensioni, ma il mondo dei mass media ha taciuto. Un silenzio che ha creato una «importante» disinformazione

L’11 dicembre scorso in Niger, presso la miniera d’uranio Somair di proprietà dell’Areva (multinazionale francese che opera soprattutto nel settore energetico del nucleare), si sono sversati, in un’area di 20 ettari, 30 milioni di litri di fanghi radioattivi, fuorusciti da tre vasche per il «troppo pieno». Questa è l’informazione giunta a Greenpeace dalla Ong Aghir In Man.

Per ora non è stato reso noto alcun dato ufficiale sul livello di contaminazione della zona.

Almoustapha Alhacen (presidente dell’Ong), che ha condotto l’analisi per conto dell’Ong, ha confermato a Greenpeace la contaminazione del terreno nei pressi dei due villaggi di Arlit e Akokan.

L’Areva intanto nega ogni responsabilità e conferma il suo impegno nel rispettare gli standard di sicurezza internazionali per la salvaguardia della sicurezza, della salute della popolazione e dell’ambiente.

La miniera e l’Areva

Essendo una miniera a cielo aperto, vengono scavate enormi voragini per estrarre, da tonnellate e tonnellate di roccia frantumata e trattata chimicamente, esigue quantità di uranio, la cui concentrazione è misurata intorno allo 0,1%.

Nel 2009 Areva ha prodotto a Somair 1.808 tonnellate di uranio, circa la metà di tutto l’uranio prodotto dalla multinazionale francese, e nel 2012 mira a produrne 3mila tonnellate, essendosi anche già accordata per iniziare a scavare una terza miniera tra il 2013 e il 2014.

Il risultato di tutte queste devastazioni nel corso degli anni sarà un’ulteriore deturpazione del territorio per il solo profitto dell’Areva, senza alcun rispetto per i diritti delle popolazioni nigerine, che in questi 40 anni di estrazioni non hanno visto alcun miglioramento delle loro condizioni di vita.

L’Areva, infatti, aveva presentato il proprio progetto come «un salvataggio economico per il Niger, che avrebbe portato ricchezza ad uno dei paesi più poveri del mondo». Così non è stato, anzi la popolazione oltre ad essere ugualmente molto povera si ritrova anche a vivere in un territorio del tutto inquinato e ambientalmente devastato.

Per Almoustapha Alhacen, «la radioattività crea invece più povertà perché causa molte vittime; ogni giorno che passa siamo esposti alle radiazioni e continuiamo a essere circondati da aria avvelenata, terra e acqua inquinate, mentre Areva fattura centinaia di milioni di dollari grazie alle nostre risorse naturali».

L’Associazione locale ha pubblicato le foto che mostrano la rottura delle dighe dei bacini di stoccaggio dei «liquidi sterili», così sono anche chiamati i materiali radioattivi provenienti dal processo di macinazione dell’uranio, che si sono sversati nelle zone circostanti, inquinando pesantemente il suolo, e quindi i pozzi locali, le acque freatiche e l’aria.

Inquinando l’acqua si va a contaminare l’intera vita degli abitanti di Arlit e Akokan, villaggi costruiti nei pressi delle aree estrattive proprio da Areva, che si trovano costretti a vivere immersi nella radioattività.

Le denunce di Greenpeace

Greenpeace Africa ha affermato che «quando l’approvvigionamento idrico locale viene contaminato con materiali radioattivi ed altri materiali, questo pone gravi rischi sanitari per la popolazione locale. Il fango che rimane dopo la rimozione dell’uranio dal minerale contiene l’85% della radioattività iniziale del minerale. Nelle miniere di uranio in Niger, queste scorie minerarie vengono stoccate in enormi mucchi, esposti all’aria aperta». Secondo Rianne Teule, responsabile energia dell’Associazione, «questa nuova perdita dimostra che le cattive pratiche delle miniere di uranio di Areva in Niger continuano a minacciare la salute e la sicurezza delle persone e dell’ambiente».

Greenpeace già da tempo sta denunciando lo scarso livello di accuratezza nelle operazioni di estrazione nelle miniere nigerine da parte dell’Areva, e per questo si sta battendo affinché ci siano controlli indipendenti dello stato dell’ambiente, attente bonifiche e decontaminazione di questi luoghi.

Dati alla mano

A maggio scorso, nel rapporto «Left in the dust» l’associazione internazionale ha rilevato alti livelli di inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo nei dintorni delle miniere di uranio di Areva nigerine proprio nei due paesi di Arlit e Akokan, che sono risultati essere del tutto avvelenati.

Il rapporto evidenzia che «anche il traffico di metalli e materiali radioattivi provenienti dall’interno degli impianti minerari, con rottami metallici e attrezzature radioattivi venduti direttamente nei mercati locali e riciclati nella costruzione delle poverissime abitazioni di Arlit e Akokan. Un traffico evidente ma anche questo negato da Areva».

Dal rapporto si legge anche che da brevi monitoraggi effettuati già nel novembre 2009, in collaborazione con la Ong Rotab e con il laboratorio indipendente francese Criiad, dopo 40 anni di attività estrattiva, sono stati utilizzati 270 miliardi di litri di acqua nelle miniere, impoverendo e inquinando la falda acquifera stessa. La concentrazione di uranio nelle acque prelevate da Arlit è risultata ben al di sopra del limite raccomandato dall’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) per l’acqua potabile, e che negli ultimi 20 anni la concentrazione è gradualmente aumentata.

È stata rilevata anche la presenza del radon radioattivo sia nelle acque sia nell’aria rilevata nella stazione di polizia di Akokan, la quale concentrazione è risultata tra 3 e 7 volte più alta rispetto ai livelli considerati normali della zona.

Nelle polveri fini sono state rilevate concentrazioni di radioattività 2 o 3 volte superiori a quelle rilevate nelle polveri grossolane, evidenziando il rischio maggiore che tali polveri sottili hanno nell’essere inalate e ingerite.

Questo comporta danni alla salute tali da far rilevare aumenti di casi di leucemia, cancro e malattie delle vie respiratorie che portano ad un elevato tasso di mortalità legato a problemi respiratori che risultano essere il doppio rispetto a quello del resto del paese.

In un campione di suolo prelevato nei pressi di Akonan la concentrazione di uranio e di altri materiali radioattivi è risultato essere 100 volte maggiore ai livelli normali della regione, e superiore ai limiti consentiti a livello internazionale. Per le strade di Akokan infatti i livelli di radioattività sono risultati 500 volte superiori alla norma.

Le rivelazioni di Wikileaks

Anche le rivelazioni di Wikileaks hanno messo in luce le reali condizioni in cui versa l’Africa, rendendo note le comunicazioni delle ambasciate Usa che evidenziano: «il preoccupante sviluppo delle miniere di uranio in Africa senza alcuno standard di sicurezza e nei disastrati e obsoleti centri di ricerca nucleare; la presenza di corruzione alle frontiere che permette alle multinazionali di sfruttare le miniere e contrabbandare materiale radioattivo attraverso i continenti. Inoltre Wikileaks ha rivelato che i diplomatici Usa sono molto preoccupati per quel che accade nella Repubblica democratica del Congo (Rdc), e in Paesi come Tanzania, Niger, Burundi, dove le norme di sicurezza sono scarse o del tutto assenti».

Sempre dalle rivelazioni di Wikileaks è emerso che «gli americani parlano di un coinvolgimento diretto nell’estrazione illegale e nel contrabbando di uranio dell’Africa di europei, cinesi, indiani e di società della Corea del Sud. Rivelazioni inquietanti, visto che la maggior parte dei reattori nucleari europei utilizzano uranio importato da Paesi africani. Altri comunicati rivelano casi di contrabbando di uranio e di altri materiali radioattivi in Tanzania, Burundi, Niger, Portogallo e Georgia».

Queste rivelazioni dovrebbero porre ancora di più l’attenzione su questa pesantissima realtà che grava su tutto il mondo e soprattutto sull’Europa, primo utilizzatore dell’uranio proveniente dall’Africa. E dell’Italia che dopo la firma del protocollo d’intesa (avvenuta il 9 aprile scorso) tra Areva e le aziende appartenenti a Finmeccanica, in occasione del Quinto Foro di dialogo italo-francese, è tra le possibili utilizzatrici dell’uranio proveniente dal Niger.

La situazione messa in evidenza risulta molto grave, di difficile risoluzione, dato i rapporti politico-economici sempre poco chiari che legano i Paesi ricchi.

Ma questo non deve mettere in discussione il diritto di sapere del largo pubblico, il diritto di venire a conoscenza degli eventi che accadono nel mondo, soprattutto quando si tratta di avvenimenti che indirettamente riguardano tutti in prima persona.

Il nucleare è una questione sempre aperta, sempre molto discussa ma sulla quale c’è sempre poca comunicazione e quel poco che se ne fa è poco comprensibile a tutti e soprattutto superficiale.

Uno degli slogan legati al nucleare, in questi ultimi anni tornato in voga anche nelle scelte energetiche dell’attuale governo italiano, è «nucleare come fonte energetica pulita».

Dopo questo ennesimo gravissimo episodio nigerino, lasciato per giorni nel silenzio, penso che di pulito ci sia ben poco.

Quando si pensa all’energia nucleare, molti sono portati a immaginare alla sola centrale nucleare, chissà in mezzo ad un bellissimo prato verde, che non rilascia nulla in atmosfera se non vapore acqueo, le cui scorie, teoricamente, vengono smaltite nell’assoluta sicurezza. Ma questo è solo una piccolissima parte della realtà. Se nel raccontare «cos’è il nucleare» venisse considerato l’intero processo produttivo di tale energia atomica, dall’estrazione del carburante nucleare, al passaggio in centrale, fino ad arrivare allo smaltimento delle centrali stesse e allo stoccaggio delle scorie, non risulterebbe affatto un processo pulito. Infatti nel considerare il processo di produzione è importante, se non fondamentale, tener presente tutto ciò che accade intorno, tutte le reazioni dell’ambiente a tale processo e far vedere cosa accade realmente nelle zone interessate, come lo è il Niger.

Solo così si darebbe la trasparenza dovuta ad un tema di tale spessore qual è il nucleare come fonte di energia, che oltre ad essere una «faccenda» politico-economica e principalmente una «faccenda» di rispetto di vite umane e non solo.

Il silenzio del mondo della comunicazione su questo disastro è sintomo di un disinteresse dei mass media verso temi ambientali di tale entità o un evitare volutamente la trattazione di temi che possono risultare scomodi per qualcuno?