I beni non oggetto di consumo o valori del «non uso», che hanno in sé un valore culturale e/o spirituale tale da connotare un territorio o una specie, possono acquisire importanza nel processo di decisione, ma raramente questo si traduce in un valore monetario
È stata recentemente pubblicata l’ultima edizione del Rapporto «Teeb» (The Economics of Ecosystems and Biodiversity).
Si tratta di una delle più importanti iniziative internazionali, attenta a mettere in correlazione biodiversità ed aspetti dello sviluppo economico.
La biodiversità è definita dalla «Convenzione per la Diversità Biologica» (Cbd) come la variabilità degli organismi viventi, includendo quelli terrestri e quelli marini, i sistemi acquatici ed il complesso insieme ecologico di cui fanno parte.
Il concetto di biodiversità comprende la diversità dentro la specie, tra le specie e nell’ecosistema.
In altre parole, il termine «biodiversità» ricomprende i concetti di diversità all’interno delle specie (variazioni genetiche), di numerosità delle specie, di diversità dell’ecosistema.
Gli elementi quanti-qualitativi sono importanti quando consideriamo il legame tra la natura, le attività economiche ed il benessere umano. Esiste un legame tra economia e natura, questo rapporto viene descritto con termini quali servizi ecosistemici o flussi di valore, benefit che derivano alla società dal capitale naturale.
Il Millenium ecosystem Assessment definisce quattro categorie di servizi ecosistemici che contribuiscono al benessere dell’uomo, ciascuno sostenuto dalla biodiversità:
1. servizi di approvvigionamento, come ad esempio il cibo, prodotto direttamente dalla natura, il raccolto, l’acqua fresca e le medicine che derivano dalle piante;
2. i servizi di regolazione, per esempio la funzione di «filtro» dei diversi tipi di inquinamento svolto dalle zone umide, la regolazione del clima attraverso lo stoccaggio del carbone ed il ciclo dell’acqua, l’impollinazione ed il sistema di protezione dai disastri ambientali;
3. servizi culturali, per esempio quelli ludici, ricreativi, spirituali, estetici ed educativi;
4. servizi di supporto, per esempio la formazione del suolo, la fotosintesi ed il ciclo dei nutrienti.
I concetti legati ai servizi offerti dall’ecosistema ci aiutano a comprendere quanti benefici traiamo dalla natura. Dal punto di vista economico i benefici derivanti dai servizi ecosistemici possono essere visti come il «dividendo» che la società riceve dal capitale naturale: sostenere questi flussi richiede una buona comprensione di come funzionano gli ecosistemi e di come nascono i servizi da essi derivanti e come questi possono essere compromessi da diverse pressioni.
Le scienze naturali ci aiutano a comprendere i legami tra la biodiversità e l’erogazione dei servizi ecosistemici, includendo il concetto di resilienza, ovvero la capacità di continuare ad offrire servizi anche se le condizioni sono cambiate, come nel caso del clima.
Pochi dei servizi che ci derivano dalla natura, dall’ecosistema hanno un valore monetario esplicito o sono valutati all’interno del mercato. Quelli a cui è attribuito un valore di mercato sono i beni che la natura ci offre, come il raccolto, le colture, la pesca, l’acqua e tutto ciò che è direttamente oggetto di consumo da parte delle persone.
I beni non oggetto di consumo o valori del «non uso», che hanno in sé un valore culturale e/o spirituale tale da connotare un territorio o una specie, possono acquisire importanza nel processo di decisione, ma raramente questo si traduce in un valore monetario.
I servizi di regolazione, «di filtro», come ad esempio quelli legati all’inquinamento idrico, alla regolazione termica, hanno iniziato da poco ad avere un valore economico, riferito però ai benefici indiretti a questi legati. Quest’ultimi, quando oggetto di valutazione monetaria, ricadono sotto la dizione generale «valore economico complessivo» di un ecosistema: essi rimangono largamente invisibili nei conti giornalieri della società.
Un esempio molto chiaro di come possa essere pericoloso non dare un valore economico alla biodiversità ci viene dalle attività di deforestazione. I costi di questa operazione, considerati esclusivamente dalle imprese che ne ricavano profitti, non tengono conto delle conseguenze sulla società (ad esempio, nel breve periodo, dei danni subiti dai diseredati delle aree rurali, che dipendono dalle risorse e dai servizi della foresta per la loro sopravvivenza e sicurezza quotidiana) e neppure dei danni che ricadranno sulle future generazioni.
La mancanza di una valutazione economica attribuita agli ecosistemi e alla biodiversità risulta essere un significativo fattore della continua perdita di biodiversità e del degrado dello stato dell’ambiente. Nel tempo, gli ecosistemi diventano incapaci di creare beni e servizi.
Il legame tra natura ed economia è oggetto di studio dal 2008; i report Teeb si sono negli anni interessati agli impatti economici legati alla perdita di biodiversità su scala globale. Ancora oggi stimare i costi della perdita di biodiversità risulta un’operazione complessa e controversa, ed i numeri che ne derivano vanno utilizzati con cautela.
I report Teeb che si sono succeduti tralasciano i grandi numeri e si incentrano sui casi studio legati agli impatti economici della perdita di biodiversità.
Questi casi studio prendono in considerazione più aspetti:
- la politica nazionale e regionale e le modalità di gestione
- la lotta alla povertà
- gli affari
- i singoli e la comunità.
Se ignorare o sottovalutare il capitale naturale nelle previsioni e nella pianificazione può portare la politica a realizzare investimenti in grado solo di peggiorare la qualità del suolo, dell’aria, dell’acqua e delle risorse naturali, e da questo derivano impatti negati sia economici sia sociali, al contrario, investire nella natura può essere un modo per creare o mantenere posti di lavoro e un modo per stimolare lo sviluppo economico. Oltre a ciò, si hanno connessioni con la lotta alla povertà: i casi studio si basano sull’assunto che la biodiversità, la sua conservazione e un sistema ecosostenibile possono rappresentare fattori chiave per la lotta alla povertà e per raggiungere gli obiettivi contenuti nel Millenium Development Goals.
Viene poi presa in considerazione anche la sfera degli affari. Il settore privato impatta e, al tempo stesso, dipende in varia misura dai servizi dell’ecosistema e dal capitale naturale. Le imprese corrono grossi rischi e si giocano la reputazione se provocano un danno ambientale, ma possono anche cogliere le nuove opportunità legate alla green economy.
Infine i casi studio esaminano anche il comportamento degli individui e delle comunità. La perdita di biodiversità comporta costi individuali e collettivi, in termini di salute, sicurezza ed altri aspetti legati al benessere; ciascuno deve quindi agire ed esercitare i suoi diritti di cittadinanza e fare pressione affinché la salute collettiva venga tutelata.
Riconoscere che la biodiversità è alla base del benessere umano è necessario, ma non sufficiente; è poi necessario tradurre questa conoscenza in azioni che influenzino i comportamenti.
L’approccio proposto da Teeb si basa sul lavoro svolto dagli economisti in vari decenni. La valutazione economica, tuttavia, deve essere vista come uno strumento per orientare la gestione della biodiversità, e non come unica condizione per agire. Il quadro di analisi ed il metodo di decisione descritti nelle relazione del Teeb, anche implementati, possono fare molto per rendere l’investimento pro-biodiversità la scelta più logica per una gamma molto ampia di soggetti e per decidere politiche e misure di intervento davvero efficaci tanto nel breve quanto nel lungo termine.
(Fonte Arpat)