Si chiama «La rafle» l’ultimo lungometraggio di Rose Bosch, con Jean Reno e Melanie Laurent che racconta una delle pagine più orrende dell’Olocausto
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Parigi, 16 luglio 1942. In piena notte, su ordine di Hitler, la gendarmeria francese procede al rastrellamento dei 12.884 ebrei residenti sulla collina di Montmartre, tradotti prima nel Velodromo d’inverno, poi nel campo di Beaune-La-Rolande ed infine caricati come bestie su un treno dalla destinazione ignota.
Il film racconta questo episodio inedito per il grande schermo attraverso gli occhi e il punto di vista di Jean, uno dei 4mila bambini catturato in quella notte, improvvisamente separato dai suoi genitori e lasciato ad un destino incerto.
Trasmette un grande senso di angoscia e terrore guardare le immagini del Velodromo: uomini, donne e bambini ammassati in uno spazio ridottissimo, un luogo di non ritorno in cui sono costretti alla fame e alla sete, in condizioni igieniche precarie. Una delle cose più inusuali è la quasi totale assenza delle divise naziste, delle SS: in questa toccante pellicola i carnefici sono i connazionali, le forze dell’ordine francesi, i vicini di casa, persone assuefatte alle menzogne trasmesse per radio, per cui le parole rispetto e diritti non hanno più alcun senso né valore.
Pur essendo la Shoah uno dei momenti storici più indagati dal cinema, è la prima volta che la Francia s’interroga così da vicino sul ruolo avuto nell’affiancamento alla politica antisemita di Hitler. E, pur essendo un episodio accaduto quasi 70 anni fa, continua ad essere estremamente attuale, perché i germi del disprezzo altrui e lo spettro dell’intolleranza sono sempre dietro l’angolo.