La fornace Corvaia, un sito che attende bonifica

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La vecchia fornace Corvaia, in località Golfarolo, è un capannone di 10mila metri quadrati che non sforna più cotti e laterizi ma che da più di vent’anni risulta essere una struttura dismessa, abbandonata e da officina di mattoni si è trasformata in una vera e propria fabbrica d’amianto

In provincia dell’Aquila e precisamente nel comune di Oricola, da anni si assiste a uno scempio che se pur non affatto taciuto, ad oggi non osserva la presa in carico di alcuna soluzione efficace. Di cosa stiamo parlando? La vecchia fornace Corvaia, in località Golfarolo, un capannone di 10mila metri quadrati che non sforna più da lungo tempo cotti e laterizi ma che, comunque, da più di vent’anni risulta essere una struttura dismessa, abbandonata e da officina di mattoni si è trasformata, a causa dello sconquasso delle sue strutture, in una vera e propria fabbrica d’amianto.

Il capannone è infatti aggredito da fattori antropici e naturali e un cedimento definitivo della struttura accrescerebbe a dismisura l’amianto aerodisperso che pertanto risulterebbe devastante per la popolazione residente. Ad accentuare questo pericolo c’è la totale assenza di copertura ad opera di teli impermeabili fissati al suolo atti ad isolare i materiali classificati appunto come pericolosi, la non rimozione del materiale accumulato nel cavo delle lastre di copertura del tetto e sul terreno e, in generale, la non adozione delle misure, preliminari e definitive, indicate da Arta per evitare che i materiali contenenti amianto fossero disturbati meccanicamente e aggrediti dagli eventi atmosferici.

Il sito è recintato ma tale recinzione è risultata tardiva e inefficace in quanto non pone alcun riparo alla diffusione delle pericolose particelle di eternit e ricordiamo che il sito è ubicato a ridosso di case abitate dove le più vicine sono a soli 40 metri di raggio.

Le microfibre di amianto disgregato e corrotto diffuse nell’aria e veicolate dal vento, sono, se inalate, letali e cancerogene anche a distanze notevoli e le ispezioni e gli esami effettuati dall’Arta hanno appunto accertato e certificato la presenza di amianto in matrice friabile del tipo crisotilo o asbesto bianco e crocidolite o asbesto blu.

Necessario è pervenire alla soluzione delle criticità evidenziate tenuto conto anche e soprattutto della sentenza del procedimento n. 698/08 del tribunale di Avezzano, sentenza impugnata dai proprietari del sito, il cui procedimento è passato dal tribunale di Avezzano alla corte d’appello dell’Aquila, situazione questa che fa preannunciare tempi lunghi di risoluzione e ulteriori proroghe e rinvii; dell’ordinanza sindacale n. 21 del 13 settembre 2007 del comune di Oricola, dove il tempo massimo di trenta giorni previsto per lo sgombero e la bonifica è ormai scaduto da più di tre anni e del D. Lgs n. 152/2006 e s.m.i.

Lo scenario che si profila risulta inaccettabile da parte di chi da decenni convive con l’amianto e che richiede risposte forti da parte della pubblica Amministrazione; la situazione è di grave inadempienza e inottemperanza, rispetto a quanto stabilito dall’autorità Giudiziaria, dalle ordinanze sindacali e dalle vigenti leggi in merito alla demolizione/rimozione delle strutture contenenti materiali pericolosi e amianto, allo smaltimento degli stessi e alla bonifica del territorio.

Necessario è, da parte delle Istituzioni, prendere coscienza della gravità della situazione e inoltrare ogni tipo di provvedimento che permetta in tempi brevi e certi la messa in sicurezza e la bonifica dei luoghi e conseguentemente della salute degli abitanti del posto.

Perché la salute dell’uomo e del suo ambiente è quanto di più importante ci possa essere e dovrebbe essere al centro delle soluzioni avanzate dalla pubblica Amministrazione; i ritardi che hanno rappresentato l’unica costante in questa vicenda, continuano ad essere cadenzati sulla pelle di chi questi luoghi li vive da tempo e che, nonostante tutto, continua a conservare legittime aspettative e fiducia nelle Istituzioni. E l’appello è rivolto appunto a queste ultime perché orientino la conclusione di suddetta vicenda verso l’unica soluzione praticabile e cioè quella che passa per l’esercizio dei poteri sostitutivi da parte della pubblica Amministrazione; questo al fine di preservare la salvaguardia comune.