L’ambiente e la comunicazione globale

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Il problema irrisolto è che ci crediamo ancora al centro dell’universo. Pensiamo che la nostra elaborazione culturale debba essere sovrana anche su un altro pianeta. E così, irrispettosi, ci muoviamo contro quelle popolazioni che hanno solo il torto di vivere in una foresta i cui alberi o sottosuolo ci interessano

Più volte, in queste pagine, abbiamo parlato del problema ambientale come del problema strategico della nostra generazione per poter avviarci speditamente verso uno sviluppo futuro.

Bateson e Latouche parlano di ecologia della mente, di cambiamenti tout court e non di cambiamenti lenti, di sviluppo e non di crescita, di modi diversi di essere uomini, ma già Arne Naess parlava di ecologia profonda…

E poiché stiamo attraversando un periodo in cui il potere gioca con le parole, stravolgendone significato e significanti, nell’inutile tentativo di acquisire un’egemonia distruggendo una cultura che non ha appartenenze perché è nella storia della nazione, ci è sembrato il momento giusto per dedicarci quest’anno ad una serie di temi legati al linguaggio e alla sua propagazione.

Oggi è on line il primo numero di «Villaggio Globale» (lo trovate nella parte destra di questo portale) dedicato alla Comunicazione. Ecco di seguito l’Editoriale.

Un uomo, nutrendosi, esprime la sua materialità; pensando, esprime la sua intimità; ma è solo quando comunica che il suo essere si esprime nella globalità.

Nella sua evoluzione l’uomo è giunto a livelli sofisticatissimi di comunicazione, sia come elaborazioni sia come tecnica.

Che la comunicazione non sia solo un esercizio lo dimostra cosa ha prodotto: filosofia, teologia, scienza, informazione, disinformazione… e, soprattutto, potere.

La cultura (il complesso della comunicazione e dei saperi) è tutt’ora patrimonio di pochi uomini ed è sempre più legata all’accesso delle conoscenze mediante il quale l’uomo domina sull’uomo.

La «parole» è il momento individuale, mutevole e creativo del linguaggio, il modo cioè con cui il soggetto parlante «utilizza il codice della lingua in vista dell’espressione del proprio pensiero personale», sosteneva Ferdinand de Saussure, il grande indagatore del pensiero scritto dividendo fra significato e significante.

Poi a partire da Noam Chomsky la frase viene analizzata nella sua struttura superficiale e profonda ma è con l’avvento di internet che tutto cambia. Il modo di pensare, di esprimersi, di costruire la comunicazione.

Internet dà il «la» ad una rete del pensiero che prima era a livello neuronale personale e, tramite i media che si sono succeduti, era di confronto e progressiva ed ora diventa virtuale, collettiva e in tempo reale che coinvolge il pianeta. Una sorta di pensiero sempre in presa diretta con tutti.

Prima si facevano le battaglie per la libertà di stampa ora le battaglie sono per internet libero. Prima si bruciavano i libri e le biblioteche ora si oscura internet. E quello che avviene come divertissement o come impegno politico, trova nella rete il momento comunicativo più alto. Si vedano le recenti manifestazioni di massa nei paesi nord africani o i casi a noi più vicini: da Grillo al popolo viola.

E non a caso Marshall McLuhan sosteneva che «il mezzo è la comunicazione». E il contributo dei media è cresciuto in modo esponenziale, condizionando e modificando la nostra vita, tanto che ora si parla di intelligenza connettiva. Derrick de Kerckhove, che insegna all’Università di Napoli (oltre che a Toronto), è stato assistente di McLuhan ed è il teorico dell’intelligenza connettiva, è quindi un esperto sulla comunicazione moderna del pensiero e sostiene che il pensiero non nasce da una dimensione privata ma dalla condivisione e connessione tra l’individuo e gli altri (come avviene tipicamente nel mondo della Rete, dai social media ai blog, fino a Wikipedia).

L’aspetto più affascinante è che questa «conquista» è da sempre della natura. Un piccolo seme è in presa diretta con il mondo circostante sia chimico del terreno sia fisico dell’atmosfera. Se le condizioni e il clima non sono quelle giuste, esso non germina. E si potrebbe continuare a lungo ad esaminare questa realtà che nella nostra grezza presunzione e stupido orgoglio chiamiamo inanimata o meccanica. E non è ancora un caso che dopo aver creato circuiti di rame e di silicio ora rivolgiamo la nostra attenzione a circuiti biologici.

Noi della comunicazione globale non sappiamo niente. Studiamo, come esploratori su un pianeta sconosciuto, i comportamenti degli animali, le migrazioni, e mentre con la vivisezione mostriamo tutta la nostra primitività, restiamo sgomenti di fronte ai comportamenti di cani o gatti verso i loro «padroni», della loro provata «preveggenza», delle intuizioni anche di delfini e altri animali in condizioni di pericolo per noi umani. Il problema irrisolto è che ci crediamo ancora al centro dell’universo. Pensiamo che la nostra elaborazione culturale debba essere sovrana anche su un altro pianeta. E così, irrispettosi, ci muoviamo contro quelle popolazioni che hanno solo il torto di vivere in una foresta i cui alberi o sottosuolo ci interessano.

E tutto questo mentre raggi cosmici ci attraversano, modificando le nostre comunicazioni e la composizione chimica delle nostre conquiste. Né riusciamo a comprendere e accettare il sottile filo delle relazioni che ci avvolge e ci fa scegliere. In un mondo in divenire in cui non comprendiamo la ratio profonda di una comunicazione globale che ci attraversa e ci condiziona nostro malgrado, lasciandoci la puerile illusione della scoperta, della scelta, del «potere». E non abbiamo ancora neanche la coscienza della fragilità di questo sistema. Basterebbe un black out per spazzare via tutto, come l’illusione della democrazia solo perché abbiamo votato. Siamo all’abc della comunicazione anche se abbiamo il pc.