Oggi si produce più cibo che mai, ma ancora oltre 900 milioni di esseri umani soffrono la fame. Per aumentare la produzione di cibo a larga scala, si è sviluppata un’agricoltura intensiva, meccanizzata e fortemente inquinante. Il 40% del cibo prodotto a livello mondiale viene sprecato prima ancora di essere consumato
Una vera e propria «road map» fatta di innovazioni agricole e centinaia di progetti già realizzati, per alleviare la povertà globale, migliorare la sicurezza alimentare e favorire la lotta al cambiamento climatico e il mantenimento delle risorse naturali. Questo è quanto contiene lo «State of the World 2011, Nutrire il pianeta», il rapporto annuale realizzato dal Worldwatch Institute e presentato a Roma, durante la giornata mondiale dell’acqua, nell’edizione italiana curata dal Wwf Italia per Edizioni Ambiente.
Oggi si produce più cibo che mai, ma ancora oltre 900 milioni di esseri umani soffrono la fame. La percentuale degli aiuti allo sviluppo dedicata all’agricoltura ha raggiunto il minimo storico del 4%. Per aumentare la produzione di cibo a larga scala, si è sviluppata un’agricoltura intensiva, meccanizzata e fortemente inquinante, che espone a rischio la fertilità dei suoli, l’accessibilità delle risorse idriche, la diversità delle colture, e complessivamente è responsabile di un terzo delle emissioni globali di gas serra. Ma, cosa ancor più grave, è che il 40% del cibo prodotto a livello mondiale viene sprecato prima ancora di essere consumato.
Danielle Nierenberg, co-direttore dello «State of the World 2011», durante la presentazione del volume, ha detto: «Lo “State of the World 2011”, realizzato dopo due anni di ricerche in 25 Paesi africani, racconta le pratiche agricole innovative, a basso costo e sostenibili sotto il profilo ambientale, che applicate localmente possono migliorare la produttività, ridurre gli sprechi e sfamare centinaia di milioni di persone, dando, alle comunità più povere del pianeta, la chiave per vincere la fame nel mondo nel rispetto degli equilibri naturali».
Molti gli esempi da poter analizzare e dai quali trarre insegnamenti per sviluppare applicazioni più sostenibili e maggiormente incentrate sul rispetto del territorio e della dignità degli individui; tra questi, si annoverano: l’agricoltura urbana sviluppata, attraverso tecniche come la coltivazione sui tetti o gli «orti verticali» su sacchi di terra muniti di fori, nella più grande baraccopoli in Kenya, a Nairobi, paese sprovvisto di suoli coltivabili; le innovazioni low cost per sfruttare meglio risorse idriche attraverso l’aspirazione effettuata, ad esempio, con pompe a pedali che, portando in superficie l’acqua rinvenuta anche a parecchi metri di profondità, permettono la fruibilità della risorsa che diversamente sarebbe difficilmente accessibile. Altri esempi si ritrovano in Ruanda, dove la raccolta dell’acqua piovana da tetti e altre superfici, ha portato alla costruzione di centinaia di bacini di raccolta utilizzati per le coltivazioni e in Kenya, dove una migliore gestione del suolo, ha consentito di sfruttare l’acqua piovana e l’umidità del terreno, aumentando la resa dei campi.
Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf Italia, che da 24 anni cura l’edizione italiana dello «State of the World», ha dichiarato: «L’agricoltura è giunta a un bivio, la cosiddetta rivoluzione verde, che ha incrementato la produttività agricola con nuove sementi selezionate, input di energia, fertilizzanti e pesticidi, non ha risolto il problema della fame nel mondo e ha comportato pesanti ricadute sui sistemi naturali».
In definitiva, lo «State of the World» individua nuovi modelli agricoli sostenibili, esportabili fuori dall’Africa e perfino nelle grandi città dell’Occidente, in grado di nutrire una popolazione mondiale che nel 2050 arriverà a 9 miliardi di esseri umani e sostenere, contestualmente, gli ecosistemi da cui l’umanità stessa dipende. Oggi, più che mai, è necessario che i nostri pasti siano sani, a ridotto impatto ambientale e in grado di ridurre la spesa sociale a carico degli Stati. Un grande apporto in tal senso può essere dato dallo sviluppo della dieta mediterranea, dove i suoi costituenti basilari, come legumi, frutta e verdura, sono dichiaratamente a basso impatto anche sulla salute del pianeta. Insomma, adottare abitudini alimentari corrette, contribuisce in maniera attiva, oltre che al benessere dell’uomo, alla salvaguardia del pianeta, in termini di risparmio di suolo, risorse energetiche e risorse idriche.