Uno studio sul faggio-abete bianco del Pollino

    658
    Tempo di lettura: 2 minuti

    L’attuale grado di frammentazione dei nuclei di abete bianco tende a limitare lo scambio genico all’interno della popolazione di abete accentuando il rischio di deriva e quindi di impoverimento genetico

    L’Ente parco nazionale del Pollino, in collaborazione con le Università della Basilicata e della Calabria, ha dato avvio a un progetto di ricerca per approfondire la conoscenza scientifica degli straordinari ecosistemi naturali che il Parco custodisce, come essenziale presupposto per definire in modo mirato i metodi migliori per la loro conservazione e gestione.

    La ricerca, spiega il dott. Aldo Schettino dell’Ente parco nazionale del Pollino, è articolata in due tematiche. La prima, «Ecologia, selvicoltura e gestione dei boschi a partecipazione di abete bianco», è divisa in due sub-temi: «Ecologia, fisiologia della rinnovazione naturale» e «Selvicoltura e gestione».

    Il bosco di faggio-abete bianco, un tempo molto più diffuso, è oggi costituito da popolamenti relittuali. Tuttavia il Parco nazionale del Pollino conserva le più estese formazioni del bosco faggio-abete di tutto l’arco appenninico. È indubbio che la rarefazione di questa cenosi forestale è in gran parte da attribuire allo sfruttamento dei boschi avvenuto in epoca storica.

    La preziosità del legname di abete bianco per le costruzioni edilizie e per i cantieri navali ha costituito la principale causa della rarefazione di questa specie e di conseguenza del consorzio misto faggio-abete. Il problema posto in primo piano dalla gestione di queste formazioni forestali è rappresentato dall’abete bianco sia in ordine alla rinnovazione sia all’affermazione e sviluppo della specie.

    L’attuale grado di frammentazione dei nuclei di abete bianco tende a limitare lo scambio genico all’interno della popolazione di abete accentuando il rischio di deriva e quindi di impoverimento genetico.

    La ricerca si propone, rileva Schettino, di definire un modello logico, a significato operativo, di interrelazione fra disponibilità delle risorse, caratteristiche della copertura e prestazioni (fisiologiche e di crescita) della rinnovazione naturale. Il secondo punto si propone di effettuare una «lettura» nel tempo (diacronica) del bosco nel tentativo di ricostruirne il dinamismo in relazione alle utilizzazioni pregresse del bosco per rispondere alle domande fondamentali che il gestore si pone: quali sono i fattori che hanno plasmato il bosco? Quali sono i fattori critici nell’influenzare le condizioni ecosistemiche? Quali saranno le dinamiche future?

    La seconda tematica riguarda il dinamismo vegetazionale in formazioni prative di alta quota.

    Questa linea di ricerca mira alla valutazione del dinamismo di formazioni prative in relazione a diversi fattori: collocazione nell’ambito del Parco, tipologia vegetazionale, modelli gestionali (pascolo/no-pascolo). Oltretutto molti studi dimostrano che le formazioni prative d’alta quota, tra cui i seslerieti e i nardeti cacuminali del Pollino, sono suscettibili al riscaldamento climatico.

    Proprio le specie vegetali delle vallette nivali, piccole isole alpine situate alle alte quote del massiccio, sono soggette a forti rischi dovuti ad alterazioni di composizioni causate dall’ingresso di specie che risalgono dal basso. Questi processi minacciano in primo luogo le specie rare presenti alle alte quote.

    La ricerca si svolgerà su tre aree di studio permanenti (unità di campionamento) nell’ambito delle tipologie prative d’interesse.

    (Fonte Parco del Pollino)