Un siciliano ranger in paradiso

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In mezzo all’Oceano Pacifico, un angolo di natura intatta che è diventato «Wild Life Refuge». Si possono osservare le evoluzioni in mare delle balene Humpback, di delfini, foche monache, tartarughe; nonché le incredibili manovre aeree dei Lysan Albatros, o di uccelli tropicali curiosamente capaci di volare all’indietro e delle Nene, la caratteristica e bellissima oca hawaiiana

All’inizio del Ventesimo secolo, il traffico marittimo tra l’Asia e la costa occidentale degli Stati Uniti era cresciuto considerevolmente. Dati gli strumenti di navigazione dell’epoca, si rendeva necessario agevolare la rotta dei mercantili diretti verso l’est con mezzi sussidiari di orientamento. Le isole Hawaii si trovavano a questo proposito in posizione ideale, e particolarmente attraente si rivelava il punto più a Nord delle stesse isole, su una punta rocciosa dell’isola di Kauai, a 60 metri sul livello del mare, ideale per l’ubicazione di un faro.

Nel 1909 il Governo americano acquistò pertanto all’esorbitante prezzo di… 1 dollaro, un terreno di circa 30 acri, pari a 12 ettari, dalla Kilauea Sugar Company.

La costruzione iniziò nel Luglio del 1912, e poiché all’epoca non esistevano ancora carrozzabili, si dovette trasportare tutto il materiale via mare e sbarcarlo con ingegnose gru su piattaforme ricavate direttamente nella scogliera.

Il Faro di Kilauea fu inaugurato il 1° Maggio del 1913.

Una costruzione pionieristica

Era azionato da un poderoso marchingegno a contrappesi, del tipo di quelli usati negli orologi a pendolo, che doveva essere ricaricato manualmente ogni tre ore e mezzo, per provvedere la rotazione necessaria all’enorme lente bivalve del tipo Fresnel, appositamente costruita in Francia, che pesava oltre tre tonnellate ed era sostenuta da un cuscino di mercurio ed aria compressa. Il meccanismo manuale venne sostituito da un motore elettrico nel 1939.

L’illuminazione inizialmente era generata da lampade a vapore di petrolio, che furono poi sostituite da lampade elettriche giungendo a fornire, nel 1958, una illuminazione pari a due milioni e mezzo di candele.

In verità, non ho trovato traccia negli annali del Faro, di miracolosi o drammatici salvataggi di imbarcazioni che stessero per naufragare; ma c’è invece un vero e proprio episodio in cui il primo volo dagli Stati Uniti, pilotato da due ardimentosi nel 1927, era uscito di rotta nel tentativo di raggiungere le Hawaii. Ormai a corto di carburante e con i rudimentali mezzi di comunicazione di cui erano dotati, i due piloti si erano ormai dati per finiti, quando all’ultimo istante nella luce del crepuscolo uno dei due scorse il tipico segnale (due colpi di luce ogni 10 secondi) del faro di Kilauea.

Il Bird of Paradise fu pertanto in grado di compiere un’inversione ed atterrare felicemente all’aeroporto di Honolulu.

Il faro fu definitivamente messo in riposo nel 1976, sostituendolo con un dispositivo automatico, tuttora in funzione per imbarcazioni di pescatori sprovviste di GPS o altro.

Ma esso rimane nondimeno uno dei più belli d’America, tanto che al momento è in corso un completo restauro dello stesso, per riportarlo nelle condizioni più possibili vicini a quelle originali, anche se, per ragioni pratiche, non sarà più in condizioni operative.

Una spettacolare area protetta

Il Faro è costante meta di turisti da ogni parte del mondo, più di 500.000 ogni anno, non solo come attrazione di un complesso «storico» (non dimenticate, siamo in America, dove qualunque cosa centenaria rappresenta una vera antichità…), ma anche e forse soprattutto perché dal 1985 è stato designato come un «Wild Life Refuge».

In altre parole, sotto la giurisdizione del «Fish and Wildlife Service Department», una branca del ministero degli Interni statunitense, è qui localizzato un gruppo di Ranger e Volontari, me incluso, che si occupano di curare e preservare diverse specie di fauna e flora locali, alcune delle quali in pericolo di estinzione, educando al tempo stesso i visitatori sulle diverse specie di uccelli marini, che vivono in loco tutto l’anno o semplicemente vi migrano stagionalmente.

Dall’area attorno al faro è possibile godere di una vista panoramica estesa, mentre capita di osservare le evoluzioni in mare delle balene Humpback (da Dicembre a Maggio), di delfini, foche monache, tartarughe; nonché le incredibili manovre aeree dei Lysan Albatros, anche questi stagionali, o di uccelli tropicali (curiosamente capaci di volare all’indietro) così come di Boobies dai Piedi Rossi, di stupende Fregate, di Sheerwaters, ed infine della allegra presenza delle Nene, la caratteristica e bellissima oca hawaiiana (nella foto a fianco, N.d.R.).

Ci sarebbe molto da dire su tutti questi animali e sulle loro abitudini, spesso curiose, e di quanto via via si viene apprendendo su di essi. Ancora più interessante forse è la presenza di piante locali assolutamente endemiche, come le Naupaka, ?ilima, ?akoko, ed altre, tutte dai nomi intraducibili; io però confesso di essere più portato per la fauna che non per la flora, e mi considero pertanto un pessimo botanico.

Nei miei incontri con i visitatori di ogni parte del mondo (e sì, ogni tanto c’è pure qualche italiano) mi vengono rivolte ogni specie di domande, alcune anche o ingenue o divertenti; ma il commento più frequente riguarda la pace e la bellezza di questo angolo di natura incontaminata, dove si possono osservare animali liberi e protetti nel loro ambiente naturale. Qualcuno mi ha detto testualmente: «Beato lei, che lavora in Paradiso…».

Ma io, con struggente nostalgia, ricordo i paesaggi indimenticabili della Sicilia, dove ebbi la grande fortuna di trascorrere sei anni della mia vita. L’oceano delle Hawaii è grande, misterioso ed affascinante; ma il mare di Sicilia ha l’incanto della poesia che ti afferra al cuore e non ti lascia più…

Un po’ di storia

Ma lasciatemi ora parlarvi un po’ di questa isola delle Hawaii, abbastanza diversa ed in un certo senso autonoma dalle altre del gruppo, tanto da essere riuscita a sfuggire al tentativo di Kamehameha il Grande, il re hawaiiano che tentò senza successo nel 1796 di inglobarla nel suo regno.

Kauai, con una superficie di appena 1.446 km², è la più antica dell’arcipelago, risalendo geologicamente a circa 5 milioni di anni fa. È anche la più separata dal complesso delle altre isole; la più vicina, Oahu, dove è situata la capitale delle Hawaii, Honolulu, dista circa 100 km.

Per la sua posizione piuttosto al Nord, è zona di piogge frequenti, che contribuiscono ad una flora particolarmente ricca e lussureggiante, tanto che Kauai è denominata «l’isola giardino». I residenti dell’isola sono appena 66.000, ma la popolazione più importante è costituita dai turisti: oltre un milione l’anno!

Quarantaquattro spiagge offrono ampio spazio a chiunque voglia cimentarsi con le acque del Pacifico, che però sono a volte infide e richiedono prudenza…

Il bello dell’isola è il diffuso senso di tranquillità, pace e rilassatezza, ed un grande rispetto per la Natura. Le angustie del mondo sembrano essere lontane ed evanescenti. Qui il ritmo è calmo, non esiste la fretta né l’ansia, il «fare presto» è un qualcosa di totalmente estraneo e sconosciuto.

Gli hawaiiani veri e propri sono in realtà rimasti in pochi, e come il resto dei «Native Americans» sono per lo più impegnati in spettacoli folcloristici per i turisti, ma il loro modo di parlare «pidgin» (un inglese approssimativo e sgrammaticato con un curioso accento) ha pervaso un po’ tutti, anche noi «Hauli» , come vengono chiamati i bianchi residenti.

Gli hawaiiani sono gente piuttosto allegra, spensierata e loquace, che ama moltissimo la loro terra e la natura che la circonda. Come discendenti dei Polinesiani, amano l’oceano e lo affrontano con grande coraggio e confidenza. Amano anche molto la convivialità, specie tra loro, ed hanno uno scarsissimo senso della «privacy», per cui è possibile trovarteli in casa (qui si vive con le porte costantemente aperte) magari per offrirti in dono del pesce appena pescato, oppure per chiederti in prestito il camioncino…

Possiedono una spiritualità abbastanza infantile, e non sembrano desiderosi di approfondirla. Sono stati convertiti dai Missionari dell’800, ma in modo forse un po’ superficiale.

La maggioranza degli abitanti in quest’isola, previamente giapponese, è passata ora decisamente ad essere filippina, per cui il Tagalog (orribile lingua, mi rincresce dirlo e mi scuso con i filippini) è ciò che più comunemente si sente parlare.

Nella mia alterna attività di educatore religioso, mi trovo a trattare proprio con i filippini più di ogni altro, in quanto essenzialmente cattolici. Anche per loro, si tratta di un cattolicesimo tradizionale ed un po’ primitivo, se vogliamo, che risponde più ad un dialogo di tipo francescano che a dotte dissertazioni teologiche in stile domenicano.

In questa isola dai paesaggi così attraenti, dal cielo incredibilmente stellato, e da una splendida natura ancora intatta risulta comunque facile percepire la presenza del Creatore, e sull’esempio di San Francesco sentirsi in cuore mormorare «laudato sii, mi Signore…».