Da aiuto alle fattorie a distruttori del patrimonio boschivo del pianeta. Ma nel futuro ci sono i dissociatori e i sublimatori organici: attraverso camere di combustione prive di ossigeno (che non possono produrre diossina), in 8 ore tutti i rifiuti si trasformano in Singas, un propellente che manda avanti l’impianto di smaltimento e nel contempo produce energia elettrica e calorica
Le centrali a biomassa nacquero nel 1967 e presto si diffusero in molte grandi aziende agricole europee. La centrale a biomassa infatti era studiata per produrre energia calorica ed elettrica per le fattorie attraverso il cascame dei boschi, le foglie secche, il fieno inutilizzato, le potature degli alberi, ecc. Fin qui un’ottima idea, perché l’entrata e l’uscita del materiale che forniva le centraline era in perfetto equilibrio, tanto si raccoglieva come residuo di biomassa e tanto si bruciava. Nessun apporto esterno di legname all’azienda agricola che restava in perfetto equilibrio tra entrate ed uscite.
Poi però qualcuno pensò di speculare su questo sistema e trasferirlo non solo alle aziende agricole, ma ai piccoli paesi fino alle grandi città. Abbagliati dall’esclusivo interesse del profitto, non curanti dei risvolti negativi sia sull’ambiente naturale sia sulla salute degli esseri umani, questi venditori di centrali a biomassa invasero tutti i comuni d’Europa, prospettando miracoli e grandi risparmi. Il tutto senza più l’uso del petrolio, ma solo della biomassa costituita da potature, cascame, erba secca, fieno inutilizzabile, con l’aggiunta, semmai, del pellet (piccoli cilindri ricavati dai trucioli di legno delle grandi segherie).
Fin qui tutto OK, ma poi qualcuno cominciò a far notare che la produzione di chilowatt o, peggio, di megawatt non poteva avvalersi solo dell’apporto episodico di qualche potatura primaverile, o della pulizia annuale di un bosco o della falciatura del fieno, ecc., ma aveva bisogno di un continuo apporto di biomassa che in zona non esisteva più. Questo qualcuno fu subito bollato di anti progresso o di essere amico dei petrolieri.
Così, con l’ignoranza o la complicità di qualche amministratore comunale sono sorti in Europa migliaia di questi impianti e circa 500 solo in Italia. Questi venditori di impianti a biomassa, alle timide osservazioni di qualche consigliere e sindaco un po’ più illuminato degli altri, relativamente al rischio di danneggiare ambiente e salute dei cittadini, rispondevano (e rispondono) sempre che non ci sono problemi alla salute per il particolato (PM 10, 5 e 2,5) perché viene al 100% abbattuto dai filtri… e poi se la biomassa locale non basta, si può sempre utilizzare il pellet o trasformare i combustori dell’impianto per bruciare olio di palma o di altri vegetali, non ultimi gli oli esausti delle officine o dei ristoranti.
Agli ambientalisti preoccupati per i boschi italiani questi signori hanno sempre garantito che nessun albero sarebbe mai stato tagliato. Parole sante e vere, a parte che gli alberi che debbono fornire il combustibile per l’impianto provengono ora dall’estero e soprattutto dalla già martoriata Africa. Al momento l’Italia in questa situazione si muove timidamente, ciò che invece non accade per l’Inghilterra. Qui gli alberi arrivano via nave in impianti realizzati sulle coste per ricavare energia dalla biomassa forestale africana. Vengono così distrutti alberi secolari provenienti anche dalla foresta equatoriale, l’ultima rimasta in Africa di cui il Congo ne possiede una bella fetta.
E così le centrali a biomassa in nome del progresso e della diversificazione dal petrolio sta contribuendo all’abbattimento delle ultime foreste del pianeta. Non servono le raccomandazioni di governi corrotti africani per garantire che verranno tagliati solo alberi malati e comunque rimpiazzati da piante nuove.
Accademia Kronos, 4 anni fa, presente nella repubblica democratica del Congo, documentò come è in atto una sistematica distruzione della foresta pluviale, come sta avvenendo in Amazzonia e il tutto con la compiacenza delle autorità locali corrotte e della complicità delle società europee che commerciano il legname.
Le stesse che poi lo trasportano fino alle centrali a biomassa inglesi e francesi e forse anche in Italia. Esistono invece sistemi alternativi alle centraline a biomassa, molto più efficaci ed economiche, conosciute come dissociatori molecolari e sublimatori organici, sistemi questi che non producono particolato e sfruttano un bene primario senza fine che sono i rifiuti urbani. Attraverso camere di combustione che non superano i 500 gradi, in 8 ore tutti i rifiuti, conferiti in queste camere prive di ossigeno (che non possono produrre diossina), si trasformano in Singas, un ottimo propellente che manda avanti tutto l’impianto di smaltimento e nel contempo produce una grande quantità di energia elettrica e calorica da vendere all’esterno. Il futuro ormai è questo, sia per la distruzione dei rifiuti sia per produrre energia. In Europa, ma soprattutto in Italia ci sono grosse resistenze e tutte, guarda caso, attivate dagli imprenditori degli inceneritori, che ora chiamano termovalorizzatori, e dai proprietari delle grandi discariche, nonché dai venditori di centrali a biomassa. Ma quanto può durare questo fronte del no davanti all’evidenza di questi nuovi sistemi di smaltimento rifiuti e produzione energia?
Prima o poi ci si dovrà arrendere! I dissociatori e i sublimatori organici oltre tutto hanno la peculiarità di salvare le ultime foreste della Terra… e vi pare poco?