Messo a punto il primo sistema artificiale al mondo per la coltivazione di questo genere di pianta acquatica, preziosa per la protezione del nostro ecosistema costiero. Le problematiche dell’inserimento in mare e i costi
Il suo nome deriva dal dio dei profondi abissi, domatore di cavalli, salvatore di navi e scuotitore della terra, è la Posidonia oceanica, che oggi rappresenta una delle formazioni più rappresentative degli ecosistemi marini costieri del Mediterraneo. A Bari, presso Villa Romanazzi Carducci, è stato presentato il primo sistema artificiale al mondo per la coltivazione di questo genere di pianta acquatica, preziosa per la protezione del nostro ecosistema costiero.
Con il progetto Start (Sviluppo di una nuova tecnologia per la ricostruzione, tutela delle praterie sottomarine e il miglioramento della sostenibilità ambientale delle operazioni su fondali), sviluppato dalla Tct di Brindisi in partnership con Legambiente Puglia, si è inteso sperimentare la coltivazione in vasca della Posidonia, attraverso un sistema a circuito chiuso in grado di mantenere condizioni ambientali stabili, coltivare le piantine e acclimatarle al sito di reimpianto, per accrescerne la sopravvivenza finale e il successo delle operazioni in mare.
In particolare, secondo gli ultimi dati diffusi dall’Osservatorio sull’erosione costiera per il recupero e la valorizzazione dei litorali, l’area del territorio pugliese influenzata da erosione è di ben 1.047 kmq, mentre la superficie di alto valore ecologico interessata dal problema è pari a quasi 500 kmq. La Puglia con i suoi 836 km di costa, di cui 208 quelli in forte erosione, possiede diversità ambientali, naturalistiche e morfologiche da tutelare.
Andando più nel dettaglio, Francesco De Rinaldis Saponaro, vicepresidente Tct, ha dato il via agli interventi ponendo l’accento sul ruolo fondamentale di questa pianta, che assorbendo CO? e ossigenando i nostri mari previene l’erosione delle coste, rappresentando l’unica vera cura sintomatica all’erosione, mentre Michele Scardi e Marco Milanese, professori di ecologia, hanno scientemente fornito i dettagli tecnici dell’impianto di coltivazione, incentrato principalmente su un giusto equilibrio dell’illuminazione della vasca e sul termo condizionamento di un impianto idrico a circuito chiuso. Fondamentale anche il sistema di monitoraggio ambientale che ha permesso di riscontrare non solo la sopravvivenza della pianta, ma anche una esponenziale crescita verticale della foglia, da un minimo di 47 cm ad un massimo di 55. «Risultati a dir poco sorprendenti – ha dichiarato Giuseppe Scordella, responsabile scientifico del progetto – il nostro prossimo impegno si sposta sul secondo e più importante step: reinserire le talee coltivate in ambiente marittimo».
Il progetto sembra si sia rivelato un vero e proprio successo ma, a questo punto, alcune domande scomode sorgono spontanee, come spine nel fianco che incombono pericolosamente su tali iniziative e non solo. Esse concernano il delicato problema dello smaltimento dei residui, oneroso per le amministrazioni locali, il problema dei tempi, sicuramente troppo lunghi e dei costi per la tutela generale della costa, troppo dispendiosi. Si tratta, poi, di un progetto che andrebbe anche testato sotto il profilo pratico, a fronte per esempio di una mareggiata, che potrebbe minacciare drasticamente il reimpianto della Posidonia. Senza considerare le procedure da adottare rigorosamente per il controllo nelle vasche o ancora l’eventuale shock in mare che la pianta andrebbe eventualmente a subire.
Bisognerebbe quindi avere un approccio «multi-disciplinare», in grado di combinare lo studio e la ricerca con i costi per la tutela, ricercando il giusto equilibrio. I fondi stanziati dal governo sono ormai destinati esclusivamente alle grandi imprese e questo progetto rappresenta una sorprendente eccezione. Ma, al di là di queste considerazioni, l’iniziativa costituisce un forte appello alla stabilità con l’intento di ristabilizzare un sistema che rischia di andare in default, una green economy che incorre ormai in un clamoroso crash, che dopo aver colpito l’economia italiana, si spera non colpisca anche il mondo ecologico.