Tonno – Troppi segreti nelle scatolette

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Nella metà dei casi non sappiamo che specie di tonno mangiamo e pochi ci dicono da dove arriva: solo il 7 per cento delle scatolette indica l’area di pesca. Quasi nessuno specifica come è stato pescato

Oggi Greenpeace lancia il rapporto «I segreti del tonno. Cosa si nasconde in una scatoletta?» e svela la poca trasparenza dell’industria del tonno in scatola. I risultati del monitoraggio, condotto dopo l’estate in 173 punti vendita, sulle etichette di oltre duemila scatolette dei marchi più diffusi in Italia, parlano chiaro: quando un consumatore acquista una scatoletta di tonno non sa davvero cosa compra. Le scarse informazioni riportate in etichetta fanno pensare che il settore abbia molto da nascondere.

Nella metà dei casi non sappiamo che specie di tonno mangiamo e pochi ci dicono da dove arriva: solo il 7 per cento delle scatolette indica l’area di pesca. Quasi nessuno specifica come è stato pescato: nel 97 per cento delle scatolette, infatti, il metodo di pesca non è indicato.

«Sono trascorsi due anni dal lancio della campagna “Tonno in trappola” e la situazione non è migliorata – denuncia Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace Italia -. Se alcune aziende hanno aggiunto informazioni in più sulle etichette, la maggior parte dei prodotti non offre garanzie né sul tipo di tonno che portiamo in tavola, né sulla sostenibilità dei metodi con cui è stato pescato. Tutto fa pensare che le aziende produttrici stiano cercando di nascondere qualcosa».

Eccessiva, indiscriminata e troppo spesso illegale, la pesca del tonno minaccia l’intero ecosistema marino. Cinque delle otto specie di tonno di interesse commerciale[1] sono a rischio, compreso il tonno pinna gialla, il più consumato in Italia. Spesso nelle scatolette finisce tonno pescato con metodi distruttivi, come i palamiti e le reti a circuizione con «sistemi di aggregazione per pesci» (Fad), che causano ogni anno la morte di migliaia di esemplari giovani di tonno, squali, mante e tartarughe marine. Greenpeace diffonde oggi un video shock che documenta le conseguenze distruttive della pesca con i Fad. Il filmato è stato girato da un informatore dell’industria del tonno su un peschereccio coreano nell’Oceano Pacifico.

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Tra i marchi meno trasparenti MareAperto Star, Maruzzella, Consorcio e Nostromo. Riomare non specifica mai area e metodo di pesca: vuole nascondere che userà metodi di pesca sostenibili solo nel 45 per cento dei suoi prodotti? Mareblu non dice come viene pescato il proprio tonno: forse non vuol far sapere ai consumatori italiani che si è impegnata per una pesca sostenibile senza Fad solo sul mercato inglese? Se un’azienda vuole, può essere trasparente. AsdoMar, per esempio, ha iniziato a riportare il nome della specie, l’area di pesca e il metodo utilizzato, anche se non specifica ancora l’eventuale uso di Fad.

«Oggi i consumatori italiani sono complici senza saperlo della distruzione dei mari. In Inghilterra tutti i più importanti marchi hanno deciso di utilizzare solo tonno pescato in modo sostenibile, mentre in Italia non esiste ancora una scatoletta di tonno 100 per cento sostenibile. Cosa stiamo aspettando?», conclude Monti.

Greenpeace chiede al settore del tonno in scatola di garantire piena tracciabilità e trasparenza, di non utilizzare specie a rischio e di impegnarsi a vendere solo tonno pescato in maniera sostenibile, per esempio con amo e lenza o senza Fad. Un cambiamento è possibile anche grazie alle scelte dei consumatori, per questo Greenpeace chiede oggi agli utenti di dire la loro con il sondaggio «Tonno in trappola: Dì la tua» su: www.tonnointrappola.it.

[1] Secondo i criteri della lista rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN). Fonte: Collette BB, Carpenter KE, Polidoro BA, et al. (2011). High value and long life – Double jeopardy for tuna and billfishes. Science: 333: 291-2. Accesso Novembre 2011 a:
http://www.sciencemag.org/content/suppl/2011/07/06/science.1208730.DC1/1208730.Collette.SOM.Revision1.pdf

(Fonte Greenpeace)