Rivolgendosi ai partecipanti alla Conferenza sul clima di Durban, Survival International chiede di tenere in considerazione le conoscenze e le intuizioni dei popoli tribali in qualunque decisione possa essere presa per mitigare il problema dei cambiamenti climatici.
Avendo praticato per millenni stili di vita sostenibili, dall’Amazzonia all’Artico, generalmente i popoli tribali vantano l’impronta ecologica minore, ma sono anche più vulnerabili ai cambiamenti climatici di chiunque altro, e soffrono le conseguenze di misure di mitigazione come i biocarburanti, le dighe idroelettriche e i progetti di conservazione.
La maggior parte dei popoli indigeni ha sviluppato un’intima conoscenza del proprio ambiente, ed è in grado di cogliere anche i più piccoli segnali di cambiamento degli ecosistemi.
Tra le tante osservazioni dei popoli indigeni, citiamo:
– I cacciatori Inuit del Canada nord occidentale segnalano strati di ghiaccio più sottili, inverni più corti seguiti da estati più calde, modificazioni del permagelo e innalzamento del livello del mare.
– Gli Innu del Canada nord orientale hanno avvistato nel Labrador settentrionale degli uccelli che solitamente si trovano solo negli Usa o nel Canada meridionale, come la Ghiandaia azzurra, e hanno misurato minori precipitazioni nevose durante i mesi più freddi e meno zanzare durante l’estate.
– I pastori di renne Nenet della Siberia segnalano che i fiumi ghiacciati si sciolgono prima del tempo, ostacolando la migrazione primaverile delle renne, che sono costrette a nuotare invece che camminare sul ghiaccio. Anche le zanzare sono diminuite.
– I pastori di renne Tsaatan della Mongolia lamentano ripercussioni negative sulla crescita dei licheni e del muschio che alimenta le loro mandrie.
– Gli Yanomami dell’Amazzonia brasiliana sono allarmati per le alterazioni delle piogge nella foresta e raccomandano al mondo di riconoscere il ruolo vitale che l’Amazzonia svolge nella regolazione del clima del pianeta, e l’impatto che la deforestazione ha sul riscaldamento globale.
«Nel nostro paese, i cambiamenti climatici sono iniziati – ammonisce Davi Kopenawa, portavoce del popolo degli Yanomami -. I paesi ricchi hanno bruciato e distrutto molti chilometri di foresta amazzonica. Se abbattete i grandi alberi e date la foresta alle fiamme, la terra si inaridirà. Il mondo deve ascoltare il pianto della terra, che sta chiedendo aiuto».
«I cacciatori sprofondano nel ghiaccio e perdono la vita in luoghi considerati da sempre sicuri – dichiara l’attivista Inuit Sheila Watt-Cloutier -. L’Artico è considerato il barometro della salute del pianeta. Se volete sapere come sta il pianeta, venite a sentire il suo polso qui, nell’Artico».
«Non possiamo più fidarci delle nostre tradizionali capacità di leggere il tempo – denuncia il pastore di renne Sami Veikko Magga -. Prima potevamo predire che tempo ci sarebbe stato con molto anticipo. Oggi, invece, i segnali e le nostre conoscenze non valgono più».
«I popoli tribali sono i primi scienziati del mondo – ha commentato il direttore generale di Survival International Stephen Corry -. È evidente: dove hanno potuto continuare a vivere nelle loro terre, il manto delle foreste e la biodiversità possono essere addirittura superiori che in altri tipi di aree protette. E senza i loro saperi ecologici, forse molte medicine vitali per l’uomo non sarebbero mai state scoperte».
«Oggi è vitale per tutti noi che le loro conoscenze e le loro visioni siano legittimate. I popoli tribali dovrebbero poter giocare un ruolo molto più grande nei processi politici decisionali che mirano a mitigare i cambiamenti climatici, e dovrebbe essergli pienamente riconosciuto il diritto alla proprietà collettiva delle loro terre».
– Il rapporto di Survival su cambiamenti climatici & popoli indigeni
(Fonte Survival International)