Il bilancio di quest’anno, che è risultato per lo più in negativo, delineato da vere e proprie cifre di un declino quasi insormontabile nel breve periodo, ma che rende consapevole la gente che ormai l’unica speranza risiede nella green economy, unico futuro possibile ora immaginabile
Parafrasando un celebre romanzo di Gabriel García Márquez si potrebbe parlare dell’impegno per l’ambiente ai temi della crisi. Purtroppo anche il mondo ecologico ha dovuto subire i duri colpi inflitti dalla recessione, attutendoli spesso, in maniera non positiva, in un 2011 che è pesato, in termini economici e non solo, sul pianeta verde.
La nuova frontiera sembra rappresentata dall’ormai famoso «20-20-20», che si affaccia sempre più prepotentemente sul versante nazionale e non solo, un piano europeo sull’energia, che solo ultimamente sta vedendo il nostro paese, ormai alle corde, impegnarsi con impegno e dedizione. Si tratta, inoltre, di un progetto che, già dall’inizio del 2012, responsabilizzerà notevolmente le Regioni, le Provincie e i Comuni.
Ma prima stiliamo le voci del bilancio di quest’anno, che è risultato per lo più in negativo, delineato da vere e proprie cifre di un declino quasi insormontabile nel breve periodo, ma che rende consapevole la gente che ormai l’unica speranza risiede nella green economy, unico futuro possibile ora immaginabile.
Basti dare un’occhiata ai tagli del 65% al trasporto pubblico locale; oppure ai finanziamenti stanziati per gli interventi in campo ambientale, passati, in appena un anno, da 5 miliardi e mezzo di euro a soli 44 milioni; totalmente cancellati, invece, i fondi previsti dalla Finanziaria 2008 per il risparmio e l’efficienza energetica; in forse le detrazioni al 55% per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici e quelle al 36% per le ristrutturazioni; azzerati anche i finanziamenti destinati alla bonifica dei siti inquinati; per non parlare, infine, dei «fantomatici» fondi riservati all’applicazione del protocollo di Kyoto, vero e proprio dilemma di dominio pubblico.
Accanto a questi dati, che chiamarli sconfortanti è quasi un eufemismo, corre in parallelo la strada della speranza, rappresentata da fotovoltaico e volontariato: il 26% della nuova potenza elettrica installata nello scorso decennio, nel mondo, deriva da energie rinnovabili; inoltre, secondo Confindustria, negli ultimi 8 anni, sono sorti ben 1,6 milioni di posti di lavoro nel settore dell’efficienza energetica; senza contare che il numero degli impianti fotovoltaici, in esercizio solo in Italia, è salito addirittura a 275mila.
Ma cos’è questo «20-20-20»? È di fatto una serie di direttive che obbligano i Paesi membri a concorrere per raggiungere determinati obiettivi energici a livello europeo: ridurre i consumi di energia del 20%, portare la quota di energie rinnovabili impiegate al 20% e ridurre le emissioni di CO? anche in questo caso del 20%. Non si tratta di un obiettivo facoltativo, ma di un obbligo con tanto di regole e sanzioni.
Infatti, una volta che lo stato membro ha recepito la sua quota di energia da fonte rinnovabile al 2020, dovrà ripartire tale quota con gli Enti locali di riferimento. Questo vuol dire che le responsabilità dei Comuni aumenteranno notevolmente, e non a caso l’Europa ha pensato di stipulare un Patto con Sindaci proprio per favorire il protagonismo locale in tema energetico.
La strada intrapresa sembra essere quella giusta, ma bisogna andare avanti, «fermarsi significa retrocedere», parafrasando la celebre frase di un «certo» robusto politico italiano degli anni 30.