I cambiamenti climatici costituiscono un’«emergenza» dettata da prospettive drammatiche sul futuro del nostro mondo, ma sono anche diventati un «mantra» che segna il coinvolgimento dei nostri pensieri di fronte al disagio generato dai problemi attuali (che non sono solo quelli più immediati e allarmanti dell’ambiente).
Su un fronte, troviamo quei molti che, spinti dai meccanismi di un «fare» fine a se stesso, mettono a rischio la tenuta degli equilibri naturali. Il pericolo di rendere irreversibili il loro degrado, sembra non essere percepito. Ma il disagio, in realtà, è presente e viene vissuto fra tentativi di rimozione delle responsabilità e tentativi di ricorrere a seducenti formule e pensieri da proporre come improbabili giustificazioni dei danni prodotti. Si invocano, così, a propria discolpa, presunte «indomabili vitalità» dello sviluppo tecnologico o le «buone» intenzioni, di fatto non praticabili, di una «virtuosa» crescita infinita dell’economia dei consumi, in un mondo di risorse limitate.
Su un altro fronte si agitano, invece, i disagi subiti da gruppi di cittadini del mondo che compongono la gran parte della popolazione del nostro pianeta. Vi sono, infatti, masse preoccupate (ma anche molto determinate) di restauratori dei beni perduti, di progressisti che vorrebbero avanzare pur se con precauzione, di menti disorientate e paralizzate dalla velocità dei cambiamenti ma pronte a ripartire, di indignati esasperati dalle prepotenze (ma che ritengono possibile porre rimedio alle degenerazioni, in atto, perpetrate a danno degli equilibri naturali), di sognatori che si rifugiano speranzosi nella convinzione di una rinascita miracolosa dell’umanità, di disperati che non sanno più a che Santo votarsi (ma che insieme non vogliono rischiare di avviarsi ad una soluzione terminale delle angosce vissute), di uomini di fede che hanno altri riferimenti (ma che, nell’attesa, non demordono anche dall’impegno di dare qualità alle concretezze del vivere umano).
Vorremmo che tutte queste cose fossero una ricchezza di visioni del mondo e di opportunità di scelte. In realtà si tratta di una diversità umana vissuta con l’affanno del trovarci ad operare contro corrente e del non riuscire neanche ad affrontare i problemi, almeno per trarne motivi di fiducia verso futuri miglioramenti. Andare contro corrente, pur se è un modo per reagire ad un processo entropico infertile, che sembra un destino, non è certo un modo efficace per affrontare i problemi ad esso connessi. Il proposito di riportare a monte, meccanicamente e con immane fatica, l’acqua che si raccoglie spontaneamente a valle, non ha concrete probabilità di successo e, forse, non può neanche promettere di riuscire a produrre, alla fine, qualche favorevole speranza.
Dunque abbiamo bisogno di alternative che non potranno, però, essere ricercate nella sola natura dei fenomeni e che dovranno, invece, essere anche inventate dalla nostra intelligenza, in relazione ai contesti e alle condizioni imposte dagli attuali modelli di sviluppo che sono causa del degrado dei nostri ambienti vitali. Si tratta di lavorare non solo sulle conoscenze dei fenomeni, ma anche sulle consapevolezze, sulla creatività, sulla ricerca del senso delle cose, sul confronto, sulle definizione e valutazioni dei problemi, sulle condivisioni di priorità, sulla costruzione di scenari diversi per definire i migliori progetti operativi e per affrontare le inerzie che il «senso comune» delle cose nasconde alle nostre consapevolezze.
Per porre rimedi alle alterazioni degli equilibri ambientali, minacciati dal cambiamento climatico di origine antropica, è necessario conoscere non solo la portata del fenomeno nelle diverse regioni del nostro pianeta (variazioni della temperatura, delle precipitazioni meteoriche…), ma anche la qualità e la misura degli impatti prodotti sulla struttura fisica dei territori, sugli insediamenti umani, sull’agricoltura, sulla sicurezza alimentare, sulle alterazioni degli equilibri vitali per la flora e la fauna. In particolare è essenziale comprendere il peso degli impatti anche sui nostri interessi più diretti, quelli che riguardano la qualità del nostro benessere e la difesa della nostra salute, che non sempre sono affrontati con il dovuto rilievo per la complessità dei fenomeni coinvolti. Impatti da valutare nella loro gravità non per esasperare gli allarmi, ma per attivare più responsabilità nelle scelte e più efficacia nelle soluzioni da adottare.
Nella conferenza Onu sui cambiamenti climatici svoltasi a Cancún (Messico, 2010), è stata messa in evidenza una maggiore diffusione di alcune malattie infettive (West Nile disease, Dengue fever, Chikungunya, Tick-borne encephalitis), specifiche di zone tropicali e sub tropicali, e la loro comparsa in luoghi (perfino in Europa e nel Nord America) dove in precedenza non erano state mai presenti.
Già nel 2008 la Wildlife Conservation Society(1) aveva pubblicato un documento relativo ai possibili effetti del clima sulla diffusione delle malattie infettive. L’analisi dei contesti presi in esame aveva permesso, in quella sede, di definire un elenco di 12 malattie infettive che, a seguito di cambiamenti climatici (in particolare a seguito di cambiamenti di temperatura e di livelli delle precipitazioni), avrebbero potuto diffondersi in paesi nei quali non erano presenti. L’elenco comprende: Influenza aviaria, Babesiosi, Colera, Ebola, Parassiti intestinali e non, Febbre di Lyme, Peste, Patologie associate al contatto con alga tossica, Rift Valley Fever, Tubercolosi, Febbre gialla, alcune forme di Tripanosomiasi.
Uno dei principali impatti dei cambiamenti climatici, sulla diffusione delle malattie infettive, riguarda i vettori che trasmettono gli agenti patogeni. La loro azione, infatti, dipende molto dai cambiamenti di temperatura e umidità che sono alla base delle loro capacità di crescita e replicazione, nonché della loro distribuzione geografica(2). Per esempio la zanzara del genere Anopheles (vettore del plasmodio della malaria) per completare il proprio ciclo vitale ha bisogno di ambienti umidi, un fattore questo che spiega perché le epidemie di malaria ai Tropici si sviluppano soprattutto nelle stagioni delle piogge. Al contrario, infezioni da West Nile Virus, hanno bisogno di un clima arido e sono veicolate da uccelli e zanzare (ospiti primari di questo virus) che tendono ad andare verso le zone più aride dove, peraltro, la presenza dei loro predatori naturali è anche molto bassa(2).
In questo contesto è utile ricordare l’epidemia di Chikungunya in Emilia Romagna verificatasi nel 2007 (3)(4). Si tratta di una malattia virale (isolata per la prima volta in Tanzania nel 1953 e diffusa in altre parti dell’Africa, del Sudest asiatico e dell’India), la cui diffusione, in questo caso, è stata anche favorita dalla presenza (dovuta a particolari fattori ambientali e climatici locali dell’Emilia Romagna) dello specifico vettore della malattia (zanzare di specie appartenente al genere Aedes). Ancora in Italia, continuano a verificarsi casi autoctoni (contratti in Italia) di altri agenti etiologici endemici in zone tropicali più calde e che possono essere attribuiti a variazioni climatiche. Sono, questi, i casi di West Nile disease descritti in letteratura(5)(6) e relativi agli anni 2010 e 2011.
Oltre alle malattie trasmesse da vettori, altre malattie che risentono dei cambiamenti climatici sono quelle i cui agenti etiologici riconoscono come Habitat naturale l’acqua, un elemento la cui presenza può essere fortemente condizionata proprio dalle alterazioni del clima. Anche in questo caso, durante stagioni sia aride sia eccessivamente piovose, alcuni microrganismi possono avere maggior facilità a causare malattie infettive. Basti pensare alla diffusione del colera in alcune regioni dell’Africa dove il clima torrido è uno dei principali fattori favorenti la diffusione della malattia, in quanto, in tali condizioni, può risultare più difficile il controllo igienico sulle poche riserve idriche residuali(7). Al contrario, piogge eccessive ed inondazioni possono contribuire alla diffusione di altre malattie infettive trasmesse dall’acqua, come avvenuto per l’epidemia di cryptosporidium in Milwaukee(8).
Anche solo questi pochi, ma significativi riferimenti, evidenziano l’importanza di considerare il problema dei cambiamenti climatici da tutte le possibili angolazioni e, quindi, anche nella prospettiva di una possibile diffusione globale di malattie infettive.
Gli straordinari risultati della scienza medica hanno permesso, attraverso la disponibilità di cure e vaccini efficaci, di ridurre mortalità e morbosità di numerose malattie. Ma l’impatto di tali malattie sul genere umano potrebbe, tuttavia, tornare ad essere consistente e drammatico a seguito di incontrollabili variazioni climatiche.
Bibliografia
(1) Wildlife Conservation Society (2008 October 8) ?Deadly Dozen’ reports diseases worsened by climate change. Science Daily. Available from: http://www.sciencedaily.com/releases/2008/10/081007073928.htm.
(2) Shuman EK. Global climate change and infectious diseases. N Engl J Med. 2010 Mar 25;362(12):1061-3.
(3) Chikungunya epidemic outbreak in Emilia-Romagna (Italy) during summer 2007.
Angelini P, Macini P, Finarelli AC, Pol C, Venturelli C, Bellini R, Dottori M.
Parassitologia. 2008 Jun;50(1-2):97-8.
(4) Infection with chikungunya virus in Italy: an outbreak in a temperate region.
Rezza G, Nicoletti L, Angelini R, Romi R, Finarelli AC, Panning M, Cordioli P, Fortuna C, Boros S, Magurano F, Silvi G, Angelini P, Dottori M, Ciufolini MG, Majori GC, Cassone A; CHIKV study group. Lancet. 2007 Dec 1;370(9602):1840-6.
(5) Human cases of West Nile Virus infection in north-eastern Italy, 15 June to 15 November 2010. Barzon L, Pacenti M, Cusinato R, Cattai M, Franchin E, Pagni S, Martello T, Bressan S, Squarzon L, Cattelan A, Pellizzer G, Scotton P, Beltrame A, Gobbi F, Bisoffi Z, Russo F, Palu G.
(6) Human case of autochthonous West Nile virus lineage 2 infection in Italy, September 2011.
(7) Guévart E, Noeske J, Solle J, Essomba JM, Edjenguele M, Bita A, Mouangue A, Manga B [Factors contributing to endemic cholera in Douala, Cameroon]. Med Trop (Mars). 2006 Jun;66(3):283-91.
(8) Mac Kenzie WR, Hoxie NJ, Proctor ME, et al. A massive outbreak in Milwaukee of cryptosporidium infection transmitted through the public water supply. N Engl J Med 1994; 331:161-7.
Walter Napoli, Tossicologo e analista ambientale