Ogni giorno muoiono più di 3.000 animali. Il 90% dei farmaci testati sugli animali non supera le prove cliniche sull’uomo. Sperimentare su animali è, di fatto, un mestiere praticato soprattutto per inerzia culturale, ma che, come tale, viene difeso e preservato da chi ha anche un certo interesse a farlo
Per vivisezione, o sperimentazione in vivo, si intende qualsiasi esperimento eseguito su animali. Sebbene non tutti gli esperimenti prevedano la dissezione dell’animale vivo, si tratta comunque di esami molto cruenti ed invasivi, motivo per cui, anche per ragioni giuridiche, si preferisce usare il termine Vivisezione al posto del più generico Sperimentazione animale.
Gli animali utilizzati in sperimentazione provengono principalmente da allevamenti appositamente predisposti, mentre, per alcune specie, si ricorre perfino alla cattura di animali in libertà. Fra le specie più utilizzate troviamo: cani, primati, cavalli, ratti, topi, mucche, maiali, pecore, piccioni, furetti, rettili, pesci ed uccelli.
Secondo i dati pubblicati sulla GU n.243 del 16/10/2008, nel triennio 2004-2006, le cifre degli animali utilizzati per la vivisezione italiana sono i seguenti: 221 fra cavalli ed asini, 8.097 suini, 2.795 bovini, 90.493 uccelli, 45.418 pesci. Le specie maggiormente rappresentate continuano ad essere ratti e topi, con l’utilizzo di rispettivamente 820.143 e 1.664.294 soggetti, seguiti da altri roditori, con 7.100 soggetti, e conigli, con 32.314 soggetti. Di questi ultimi, sarebbero particolarmente apprezzati fattori come la maneggevolezza ed il basso costo, più che altre caratteristiche strettamente scientifiche. Sempre secondo la GU, non si rileverebbe ancora alcuna tendenza verso la riduzione del numero totale di animali utilizzati, sebbene venga fortemente promossa dal quadro scientifico e legislativo europeo. Dal 2001 al 2006 la media di animali utilizzati nelle pratiche di sperimentazione è aumentata fino a raggiungere un totale di ben 2.735.887 soggetti. Il dato numerico, già di per sé allarmante, è fortemente sottostimato visto che non rientrano nelle statistiche invertebrati, embrioni, feti ed animali utilizzati già soppressi.
Poiché ogni specie si differenzia dall’altra per morfologia fisica, struttura biochimica e patrimonio genetico, non esiste una specie che possa essere considerata modello sperimentale universale. Gli stessi Animali da laboratorio, spesso frutto di selezioni e manipolazioni genetiche, differiscono frequentemente dai loro simili in libertà. Perfino le malattie indotte a fini sperimentali sono diverse dalle patologie che si manifestano naturalmente. Per questa ragione, una volta praticati sugli animali, i test devono essere ripetuti sull’uomo, in tempi e forme diversi. Troppo spesso la sperimentazione animale viene praticata soltanto in risposta ad antiquate prescrizioni di legge, che, così facendo, ostacolano l’impiego di sostanze e tecniche valide, visto che, ormai lo sappiamo, un’alternativa c’è.
Per testare i diversi prodotti, secondo i casi, gli animali possono essere avvelenati, ustionati, accecati, geneticamente modificati, mutilati, costretti ad ingerire sostanze chimiche di ogni genere, irradiati, cosparsi di insetticidi o disinfettanti o conservanti, inoculati con cellule tumorali, virus e batteri, resi dipendenti da droghe, affamati, isolati e, in ultimo, privati dei genitori per effettuare test psicologici. In ognuno di questi passaggi la legge non prevede alcun obbligo di anestesia; ogni giorno muoiono più di 3.000 animali utilizzati per finalità scientifiche.
Tralasciando, per un momento, le riflessioni etiche e morali, che possono essere vissute e sentite diversamente da ognuno di noi, analizziamo i fatti, dati alla mano.
È cosa nota che i risultati ottenuti mediante sperimentazione animale non sono, per così dire, a senso unico. Le sostanze che possono rivelarsi innocue, tossiche o efficaci per gli animali possono non esserlo per l’uomo, tanto che, come dimostrato dalla Lav (Lega AntiVivisezione) in concerto con l’Iss (Istituto superiore di sanità), ben il 90% dei farmaci testati sugli animali poi non supera le prove cliniche sull’uomo.
Eppure, nonostante l’inefficacia di questi test e l’ormai comprovata validità dei metodi alternativi, si continua a fare vivisezione. Sperimentare su animali è, di fatto, un mestiere. Mestiere praticato soprattutto per inerzia culturale, ma che, come tale, viene difeso e preservato da chi ha anche un certo interesse a farlo.
Secondo il dossier della Lav, aggiornato al 2006, in Italia sarebbero ben 581 gli stabilimenti autorizzati ad effettuare test sugli animali. Si tratta soprattutto di industrie chimiche e farmaceutiche, ma anche di laboratori ospedalieri, universitari e di altri istituti pubblici.
Fra i metodi alternativi di sicura utilità, come sottolineato dalla Dott.ssa Stammati del Dipartimento Ambiente e Prevenzione Primaria dell’Iss, vi sono: modelli matematici, informatici, statistici ed epidemiologici, analisi chimiche, studi clinici, test su colture cellulari, su tessuti in vitro, su organi bioartificiali e su microchip al Dna. Queste metodiche, adeguatamente eseguite, risultano essere perfino più efficaci e predittive dei test realizzati su animali, tanto da averli completamente sostituiti nell’ambito di alcuni settori. Fra questi ultimi ricordiamo i crash test di automobili, i test di gravidanza, i test per verificare la contaminazione batterica dei farmaci, le verifiche igienico-sanitarie sugli alimenti, alcune esercitazioni a scopo didattico, alcuni test di tossicità di sostanze chimiche, come l’assorbimento cutaneo, la mutagenesi, la genotossicità, la fototossicità e l’embriotossicità. Secondo l’Iss, circa il 70% della ricerca biomedica non fa uso di animali.
Se non vogliamo renderci conto di quanto la vivisezione sia ormai una pratica crudele, da abolire, spostiamo almeno l’attenzione sulla sua inutilità ed arretratezza. Poiché la maggior parte delle malattie umane non colpisce gli animali, si capisce chiaramente che si tratta di organismi differenti, che non sono come noi. Sostanze tossiche per una specie possono non esserlo per un’altra e viceversa. Per questa ragione, i test effettuati su animali sono inutili, oltre che dannosi.
Eppure si calcola che, ogni anno, circa 12.000.000 di animali vengono regolarmente utilizzati nelle sperimentazioni dei laboratori europei. A legittimarne l’impiego è la Direttiva Europea n.63 del 2010.
La Direttiva, che quest’anno dovrà essere recepita anche dallo Stato italiano, fissa gli standard minimi sulle modalità di impiego e detenzione di tutti gli animali utilizzati in esperimenti negli Stati dell’Unione europea. Sebbene il legislatore abbia provveduto ad ampliare le regolamentazioni in materia di vivisezione, implementando l’utilizzo dei metodi alternativi, favorendo un regime di maggiore trasparenza relativamente al dolore inferto agli animali durante gli esperimenti ed incoraggiando l’adozione degli animali sopravvissuti da parte dei privati, è ancora molto il lavoro da fare. Tuttora, infatti, questa direttiva prevede la possibilità di ricorrere all’utilizzo di animali randagi o di cattura ed esonera dall’obbligo di effettuare anestesia anche per le pratiche più dolorose, compresi i vari metodi di uccisione.
Per questa ragione, il recepimento nazionale della nuova direttiva dovrà rappresentare la base su cui costruire un profondo cambiamento dello scenario scientifico italiano, tenendo conto degli enormi progressi raggiunti e, non meno, della crescente coscienza dell’opinione pubblica su questa tematica.