Nuove preoccupanti resistenze ai farmaci antimalarici

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I ricercatori hanno scoperto che il farmaco più efficace contro la malattia infettiva che uccide un milione di persone all’anno in un futuro prossimo potrebbe non funzionare più. Il parassita resiste per effetto di mutazioni geniche

Un team di ricerca internazionale coordinato dalla St George University of London in collaborazione con il gruppo di Biologia computazionale della Sapienza di Roma, ha scoperto che i parassiti della malaria (plasmodi) stanno sviluppando una crescente resistenza all’arthemeter, uno dei derivati dell’artemisina, il farmaco più efficace contro la malattia.
Il morbo infettivo uccide ogni anno nel mondo un milione di persone, il 90% delle quali si trova in Africa sub-sahariana. I derivati dall’artemisina usati in terapie combinate con altri farmaci (ACT, Artemisin-based Combination Therapy) sono attualmente somministrati in circa 300 milioni di dosi annue.
Sarebbe proprio l’uso crescente e non corretto di questo tipo di terapie a indurre la selezione di plasmodi resistenti all’artemether.
I ricercatori hanno dimostrato che il fenomeno è collegato a mutazioni geniche nel parassita, a carico di uno dei sistemi di trasporto del calcio, la cosiddetta pompa del calcio.

Lo studio, pubblicato su Malaria Journal, è coordinato da Sanjeev Krishna della St George University e, per la Sapienza, da due ricercatrici del Gruppo di Biologia computazionale diretto da Anna Tramontano del dipartimento di Fisica. Le alternative alle terapie antimalariche sono attualmente limitate. «Lo sviluppo di nuovi farmaci – afferma Anna Tramontano – è di primaria importanza, ma è anche fondamentale saperne di più su come le artemisinine funzionano per poter adattare le terapie ACT in modo che siano efficaci il più a lungo possibile».

Il gruppo di Biologia computazionale della Sapienza è un team internazionale e interdisciplinare che utilizza metodi computazionali per lo studio di importanti problemi biomedici lavorando in stretta collaborazione con ricercatori delle Scienze della Vita.

Lo studio Artemether resistance in vitro is linked to mutations in PfATP6 that also interact with mutations in PfMDR1 in travellers returning with Plasmodium falciparum infections è a firma di: Dylan R. Pillai,1 Rachel Lau,2 Krishna Khairnar, 2 Allegra Via, 3 Rosalba Lepore, 3 Henry M. Staines,4 and Sanjeev Krishna4* Department of Pathology and Laboratory Medicine, Medicine, and Microbiology & Infectious Diseases, University of Calgary, Alberta, Canada 1; Public Health Laboratory, Toronto, Ontario, Canada 2; Department of Physics, Sapienza University of Rome, Rome, Italy 3; and Centre for Infection and Immunity, Division of Clinical Sciences, St. Georgès, University of London, London SW17 0RE, United Kingdom 4

L’esperimento

I ricercatori hanno testato parassiti provenienti da 28 pazienti infettati da Plasmodium falciparum, causa della forma più letale di malaria e responsabile di 9 su 10 decessi per malaria. Tutti i pazienti erano da poco rientrati in Southern Ontario da viaggi all’estero e la maggior parte proveniva dall’Africa sub-sahariana, dove avevano contratto il parassita.
I plasmodi sono stati esaminati per verificare la loro sensibilità all’artemisina e a tre suoi derivati: l’artemether, la diidroartemisina e l’artesunato.
I parassiti prelevati da 11 dei 28 pazienti mostravano mutazioni genetiche in uno dei sistemi di trasporto del calcio, una proteina vitale per il plasmodio. Queste mutazioni sono state collegate dai ricercatori a una maggiore resistenza dei parassiti all’artemether. In particolare si è visto che l’efficienza dell’artemether contro i plasmodi che hanno queste mutazioni è ridotta del 50% o più quando sono presenti mutazioni anche in un altro sistema di trasporto.

I ricercatori già sospettavano che la pompa del calcio (che essi stessi avevano individuato nel 2003 come un bersaglio per l’azione delle artemisinine) potesse mutare e conferire quindi resistenza a questi composti. Lo studio pubblicato su Malaria Journal conferma questo sospetto.

(Fonte Università di Roma1, Biocomputing group, Dipartimento di Scienze Biochimiche «A. Rossi Fanelli»)