Bisognerebbe chiedersi da dove provengano le armi con le quali i siriani combattono. La risposta è più che mai ovvia. Anche questa è geografia del mondo: l’appartenenza territoriale di una popolazione diviene la sua sfortuna più grande
Uno scatto fotografico che cattura un’immagine, uno squarcio di vita.
Un insieme di circostanze sfortunate che capovolge improvvisamente la normalità dell’esistenza di un bambino.
Rodrigo Abd è l’autore di questa foto meritevole di un premio, di un riconoscimento ufficiale che la congeli eterna nello scenario tragicamente concreto della guerra in Siria.
Difatti, l’Associated Press l’ha voluta vincitrice del Gramling Award.
Un bambino straziato dal dolore della morte del padre ammazzato da un cecchino. Un civile morto tra il centinaio di ogni giorno. Numeri, percentuali inquietanti, puntuali come le date di un calendario della morte.
Diciassette mesi di conflitto tra i ribelli e le forze fedeli al dittatore Assad.
Venticinquemila il bilancio delle vittime di questa sciagura umanitaria.
I moniti internazionali sembrerebbero non bastare: la Siria continua a minacciare di utilizzare prodotti chimici letali come armi da combattimento.
La barbarie del conflitto ha subito un’impennata preoccupante in questi giorni in coincidenza con l’inizio dei bombardamenti nella città di Aleppo.
Una città, riconosciuta dall’Unesco come patrimonio dell’umanità, dilaniata dalle bombe, polverizzata sotto il fuoco dei suoi stessi figli.
Secoli di storia spazzati via dalla non-logica dei conflitti armati che insanguinano tre quarti del globo.
E i paesi che non partecipano attivamente alle guerre, come quelli della sfera occidentale europea, sono però anche quelli che ipocritamente sovvenzionano la mattanza dal punto di vista economico. Un business di affari a sei zeri; l’industria bellica decisamente non conosce crisi.
In questo teatro in cui va incessantemente in scena la violenza, l’Arabia Saudita ha organizzato una raccolta fondi in favore della popolazione siriana, raccogliendo già 32 milioni di dollari.
Anche l’Ue ha destinato 63 milioni di euro per i rifugiati siriani nei paesi confinanti.
Bisognerebbe comunque chiedersi da dove provengano le armi con le quali i siriani combattono. La risposta è più che mai ovvia.
Anche questa è geografia del mondo: l’appartenenza territoriale di una popolazione diviene la sua sfortuna più grande.
Un equatore politico che divide nettamente il mondo in carnefici e vittime.