Ancora molti interrogativi e studi da completare anche se i ricercatori assicurano sulla loro affidabilità. Intervista a Silvana Fiorito, docente del dipartimento di Medicina Clinica dell’Università La Sapienza
Un po’ senza accorgercene, le nanotecnologie sono entrate nella nostra vita di ogni giorno. Alimenti, cosmetici, tessuti sempre più spesso contengono nanoparticelle, strutture infinitissimamente piccole in grado di conferire alle sostanze proprietà del tutto inedite. Ma come in tutte le cose, «non è tutto oro quello che luccica» e infatti un interrogativo si fa strada in maniera sempre più pressante: ma le nanoparticelle sono sicure?
Per cercare di dare una risposta a questa domanda abbiamo pensato di rivolgere alcuni quesiti ad un’importante rappresentante della comunità scientifica, Silvana Fiorito, docente del dipartimento di Medicina Clinica dell’Università La Sapienza, impegnata nell’organizzazione di un workshop dal titolo «Nanoparticelle di sintesi e ambientali: angeli o demoni?» in programma oggi presso l’Auditorium di clinica medica del policlinico Umberto I di Roma.
Sono passati quasi trent’anni da quando venne coniato il termine nanotecnologia, con il quale si indicava la capacità di costruire oggetti dell’ordine di grandezza del nanometro. Ma cosa sono esattamente le nanotecnologie? Quali sono state le principali tappe di studio di questo mondo «nano»?
La nanotecnologia è un ramo della scienza applicata e della tecnologia che si occupa del controllo della materia su scala dimensionale inferiore al micrometro e della progettazione e realizzazione di dispositivi in questa scala. Genericamente, il termine «nanotecnologia» indica la manipolazione della materia a livello atomico e molecolare.
Negli ultimi trent’anni c’è stato un grande fervore sull’argomento e soprattutto in alcune parti del mondo, principalmente negli Stani Uniti d’America, si sono fatti e continuano ad essere investiti grandi capitali e questo per permettere la conoscenza di una materia riconosciuta come il futuro della scienza.
La capacità di poter costruire in nanometri vuol dire che è diventato possibile manipolare le singole molecole. Siamo, in altri termini, diventati capaci di costruire cose estremamente piccole. Ma allora vediamo, ad oggi, le nanoparticelle cosa hanno reso possibile? Quali sono le maggiori applicazioni nella nostra vita reale?
Le applicazioni sono tante e in diversi campi. Industria cosmetica, alimentare, energetica, principalmente quella impegnata nello sfruttamento dell’energia solare, utilizzano già ora nanoparticelle per conferire particolari caratteristiche ai loro prodotti. È importante aver chiaro che è fondamentale la dimensione e la caratteristica chimica delle particelle utilizzate; quello che si osserva con dimensioni nanometriche è differente da quanto si osserva con dimensioni micrometriche, o sotto forma di ione e questo anche, e soprattutto, per definire la possibile tossicità della nanoparticella.
In realtà, per l’appunto, affiancata alla questione nanotecnologie e sviluppo tecnologico in tal senso si parla, in maniera sempre più diffusa, di quelli che sono i pericoli nell’utilizzo delle nanoparticelle. L’idea di essere circondati da particelle piccolissime non può che incuriosirci ma rende d’obbligo un interrogativo: le nanoparticelle sono sicure? Le ingeriamo, le respiriamo, le tocchiamo ma sappiamo quali effetti provocano sugli organismi viventi?
La risposta a questa domanda è che servono studi di sicurezza specifici in tal senso e, infatti, laddove gli studi sono stati effettuati, le sorprese non sono mancate. In collaborazione con il Max Planck Institute, abbiamo confrontato, su cellule umane e in vitro, gli effetti delle nanoparticelle emesse dai motori diesel euro 3 ed euro 4. Ebbene, contrariamente a quanto si possa pensare, il particolato ultrasottile dei motori euro 4, più recenti ed ecologici, è risultato, a parità di concentrazioni, molto più pericoloso dei motori euro 3. L’effetto sarebbe dovuto a differenze minime a livello dell’ultrastruttura delle nanoparticelle e questo a testimonianza del fatto che sono le dimensioni e le caratteristiche chimiche delle strutture a modificare i risultati non la riduzione delle emissioni la quale non implica, necessariamente, la riduzione del danno. E questo è un esempio di studio. Di fatto, la prassi vede il moltiplicarsi di applicazioni per le quali restano ancora da chiarire i rischi sulla tossicità, questione questa estremamente complessa perché non generalizzabile fissando standard che valgano per tutte le nanoparticelle. L’unica cosa che accomuna queste ultime sono le piccole dimensioni, per il resto ciascuna interagisce con cellule e tessuti in modo diverso, e addirittura l’effetto biologico varia da cellula a cellula. Ecco perché è necessario effettuare studi tossicologici specifici, caso per caso.
Durante l’ultima Conferenza sulla nanotossicologia tenuta a Pechino si è discusso sulla necessità di effettuare studi di sicurezza sulle nanoparticelle e sulle relative tecnologie da esse scaturite. Ma chi dovrebbe procedere alla realizzazione di questi studi, il mondo accademico, le aziende che già stanno adottando questi materiali, la comunità europea, quella internazionale? La legge italiana, europea, mondiale cosa prevede in tal senso? Come l’uomo non di scienza, l’uomo comune, può proteggersi dall’utilizzo di qualcosa che non è stato ancoro accertato sia sicura?
Indubbiamente le industrie dovrebbero collaborare maggiormente con il mondo accademico il quale affronta tali tematiche in vari lavori di ricerca. Sempre più frequentemente questo avviene; le aziende, infatti, intenzionate ad utilizzare le nanoparticelle chiedono supporto professionale e strumentale alle università impegnate su queste tematiche. Il problema è che gli esami tossicologici dovrebbero arrivare prima che l’industria, sia questa alimentare, cosmetica, energetica, faccia ricorso alle nanotecnologie e questo, ad oggi, avviene di rado. Relativamente alla normativa di settore, non è presente alcuna norma univoca e, pertanto, nulla è opportunamente regolamentato.
In merito a come l’uomo comune possa proteggersi dall’utilizzo di qualcosa che non è stato ancora accertato sia sicura rispondo che bisogna fidarsi degli studi che vengono compiuti a livello accademico, studi che proseguiranno negli anni avvenire e che permetteranno di garantire un utilizzo sempre più sicuro. La gente non deve farsi prendere da inutili allarmismi dati da letture «fai da te» fatte su internet, ognuno deve compiere onestamente e con giudizio il proprio mestiere.
In definitiva, mi può chiarire il significato del titolo del workshop «Nanoparticelle di sintesi e ambientali: angeli o demoni?». Quali gli elementi preziosi da salvaguardare (gli angeli) e quali le minacce da conoscere per evitare (i demoni)?
A questa domanda rispondo che il titolo sta ad indicare che non si può parlare genericamente di nanoparticelle. Ci sono esempi di nanoparticelle inerti, come quelle impiegate in medicina nei test diagnostici, che non hanno alcun effetto sull’essere vivente, altre che rilasciano dati controversi e che pertanto vanno modificate perché si è visto che varia molto la loro tossicità in funzione di piccole variazioni nella nanostruttura, altre ancora molto pericolose in quanto, aventi dimensioni molto piccole, vanno in profondità nelle vie respiratorie e creano ingenti danni. Questa terza eventualità è ben rappresentata dai fumi che si liberano quando si bruciano i rifiuti conferiti a discarica; le discariche, in tal senso, sono molto pericolose per la diffusione di nanoparticelle sprigionate a seguito di queste lavorazioni.
Alla luce di quanto detto, cosa si sente di dichiarare relativamente al panorama futuro delle nanoparticelle e delle relative tecnologie ad esse abbinate?
Le nanotecnologie rappresentano, di certo, il nostro futuro e bisogna investire affinché il loro utilizzo diventi sempre più ampio e sicuro per la nostra salute e per la tutela del nostro ambiente.