Mentre nel mondo la diffusione dei due trattamenti è del 50% per ciascuno delle due metodiche, in Italia siamo appena al 12% per la peritoneale contro la stragrande maggioranza di dialisi «tradizionali»
Questa rubrica è dedicata alla salute ed a tutto il mondo che gira attorno ad essa. Poche parole, pensieri al volo, qualche provocazione, insomma «pillole» non sempre convenzionali. L’autore è Carlo Casamassima, medico e gastroenterologo, ecologista nonché collaboratore di «Villaggio Globale». Chi è interessato può interagire ponendo domande.
La dialisi è la tecnica con la quale si sottopone il sangue del paziente ad una vera e propria sottrazione di sostanze tossico-nocive ed è indispensabile soprattutto nelle fasi più severe dell’insufficienza renale. È una tecnica molto avanzata che, in condizioni di buona esecuzione e con un paziente in discrete condizioni fisiche, può anche consentire tempi di vita molto significativi. Tenere un assistito in trattamento dialitico per decine d’anni non è più un fatto eccezionale e rappresenta, anzi, già oggi una norma.
Accanto ad un elemento positivo, però, questa situazione si porta insieme un carico economico di rilievo, se si pensa che una settimana di dialisi «tradizionale» costa mediamente 900 euro a settimana (con «sedute» di tre volte in sette giorni) ed un impegno della struttura ospedaliera di considerevole entità. L’alternativa è data dalla esecuzione di dialisi peritoneale, che si può effettuare presso la propria abitazione, con il coinvolgimento del paziente o di un care giver (che in genere è un familiare) e che costa mediamente 530 euro a settimana.
Ebbene, mentre nel mondo la diffusione dei due trattamenti (ugualmente efficaci, secondo le statistiche mediche più aggiornate) è del 50% per ciascuno delle due metodiche, in Italia siamo appena al 12% per la peritoneale contro la stragrande maggioranza di dialisi «tradizionali», con un ritardo a dir poco mostruoso sulla «tabella di marcia» del progresso e dell’innovazione.
La Regione Lazio, per dare qualche numero in più, è al 6% mentre la Puglia non riesce ancora a raggiungere il 10%. Molto più avanzata la situazione in Piemonte dove una scelta (politica, evidentemente) forte e coraggiosa ha determinato una scossa in direzione della dialisi peritoneale domiciliare assistita da personale qualificato con corsi della Regione e recuperati all’interno del nucleo famigliare di appartenenza al malato stesso. I ricavi finanziari del cambio di strategia hanno addirittura permesso di prevedere un sostegno economico per il «care giver» che, dovendo assistere il proprio congiunto, finirebbe però col subire una perdita di opportunità nella propria sfera occupazionale, relazionale, famigliare e così via: si tratta, certo, di un ristoro piccolo ma comunque significativo per chi, dovendo occuparsi del proprio famigliare, viene messo nelle condizioni di farlo nel modo migliore (e più «professionale»).
Il futuro per queste realtà è il video controllo e la tele gestione. Per il resto d’Italia, invece, l’obiettivo è spostarsi al 20% in favore della peritoneale. Obiettivo davvero minimo se si pensa che queste sono le vere frontiere del risparmio sanitario intelligente e non certo quelle della riduzione dei servizi o della chiusura dei reparti.