Ma va recuperata una buona informazione e sconfitta la burocrazia, macchina infernale che non consente al sistema Italia di recuperare il gap che lo separa dagli altri Grandi. In questo quadro frammentato e in continuo mutamento si insinua la spending review criticata da tutti: ricercatori, imprenditori e amministratori locali
«L’Italia è oggetto di 27 procedure d’infrazione relative a discariche, due delle quali si sa andranno a condanna. Questa situazione è frutto di una mancata attività di programmazione preventiva e al deficit di impianti per gestire la risorsa che i rifiuti differenziati rappresentano», con queste parole la dott.ssa Rosanna Laraia dell’Ispra, relatrice alla tavola rotonda «La gestione dei rifiuti come risorsa», ha descritto la situazione di debacle in cui versa attualmente il sistema Paese.
All’edizione 2012 di Ecomondo, in svolgimento presso la fiera di Rimini fino al 10 novembre, l’attenzione al termine degli Stati generali della Green economy è stata catturata da una tematica importante anzi, strategica: la gestione sostenibile dei rifiuti, gestione che la Commissione europea ha teorizzato e racchiuso in indirizzi comunitari. La dottoressa Rosanna Laraia ha presentato un rapporto che ha fotografato lo stato dell’arte della normativa comunitaria in materia e alcuni dati, da cui si evince una situazione italiana impietosa: una speciale classifica frutto dell’incrocio di valutazioni sullo stato della prevenzione, dell’impiantistica e dell’utilizzo delle discariche che relega l’Italia nella terza fascia, ovvero l’ultima, in compagnia di Romania, Cipro, Grecia, Malta, Bulgaria. Mentre i Paesi co-fondatori della Comunità economica europea, neanche a dirlo, sono appaiati nelle prime posizioni.
L’arretratezza dell’attuale situazione italiana è la conseguenza di una gestione politica che sconta ritardi atavici; su questo punto Corrado Carruba, Commissario straordinario Arpa Lazio ha affermato che «il ministero dell’Ambiente, nato nel 1986, così com’è non serve più a niente, in quanto le esigenze e soprattutto le categorie mentali e culturali sono mutate e rispondono ad altre logiche»: fino a pochissimi anni fa, almeno in Italia, il rifiuto era considerato scarto da eliminare, oggi, ma già da qualche anno in altri Paesi, il rifiuto entrato nella filiera della differenziazione è considerato una risorsa utile, al pari delle materie prime, a entrare nel ciclo produttivo, con il vantaggio di rispondere ad un concetto quasi sconosciuto di «produttività del rifiuto» (dott. Morini – Confindustria). Così come il lavoro è soggetto alla legge della produttività, il rifiuto dovrà sempre più rispondere a logiche di «sfruttamento», ovvero di riutilizzo in diversi e numerosi modi di quella parte di prodotto non più ritenuta «buona», ma che può, a discapito del consumismo imperante, rendere ancora molto in altri contesti produttivi. «Per rendere fattibili tali potenzialità – ha affermato il dott. Morini – sono necessari degli accordi per far largo a questo mercato, che altrimenti non decollerà».
Oltre la concezione culturale c’è poi da considerare il livello strutturale in cui versa il Paese, cioè il numero sottodimensionato di impianti di gestione dei rifiuti: quasi tutte le regioni italiane presentano deficit impiantistici. Questa assenza causa l’interruzione del ciclo della raccolta differenziata, sempre ammesso che venga effettuata nella misura congrua all’utilizzo degli impianti. La raccolta differenziata è lo strumento con il quale la società contemporanea dovrebbe gestire i rifiuti, ma senza la chiusura del cerchio, cioè la immissione dei materiali negli impianti, il circolo virtuoso non partirà mai e lo sforzo economico e culturale impiegato risulterà vano. Ma alla regola c’è sempre un’eccezione, la Lombardia difatti a livello d’impianti è sovradimensionata: questa situazione paradossale frutto di una politica eccessivamente localistica dovrà essere ricondotta alla normalità attraverso lo spegnimento degli impianti sottoutilizzati. Al danno si aggiunge la beffa. Intanto il futuro della impiantistica nelle regioni carenti sarà per gli enti locali un problema di non poco conto, in quanto la capacità di investimento pubblico, sempre più bloccata dalla razionalizzazione della spesa a tutti livelli, comporterà necessariamente l’introduzione nel settore di soggetti privati.
Ma alla tavola rotonda c’è stato anche spazio per una polemica, che sicuramente produrrà strascichi: il presidente dell’Ispra De Bernardis ha criticato la scelta di escludere l’Istituto da lui rappresentato dai lavori degli Stati generali appena conclusi (dove era presente il Cnr), rilevando inoltre una discrasia tra responsabilità degli enti ricerca e produzione di monitoraggi e controlli che rispettano il principio dell’indipendenza. Occorre inoltre «recuperare il principio del recupero dalla nostra storia passata» ha affermato con passione De Bernardis restituendo al dibattito lo smalto iniziale.
Rifiuti quindi come risorse gestibili e capaci di restituire reddito in una filiera che in molti casi, a detta di qualche imprenditore, è bloccata dalla cattiva informazione, che confonde e disinforma i cittadini, e dalla burocrazia, macchina infernale che non consente al sistema Italia di recuperare il gap che lo separa dagli altri Grandi. In questo quadro frammentato e in continuo mutamento si insinua la spending review criticata da tutti: ricercatori, imprenditori e amministratori locali. Per uscire dalla crisi c’è bisogno di buoni investimenti green anzi, per dirla con molti relatori avvicendatisi in questi giorni «green deve smettere di essere un aggettivo, con il rischio che sia percepito come una moda, per diventare sostanza, cioè sviluppo sostenibile».