Ma il dramma amianto a chi interessa?

735
Tempo di lettura: 2 minuti

Amarezza del regista del documentario «Polvere – il grande processo dell’amianto» che mette in relazione l’attenzione di altre realtà nazionali, e dei loro mezzi di comunicazione, con quella italiana e della Rai. Una storia documentaristica che ha il suo epicentro a Casale Monferrato e nel processo celebrato presso il Tribunale di Torino giunto alla sentenza di primo grado il 13 febbraio 2012

Sguardi tristi e arrabbiati ma pieni di voglia di giustizia costituiscono il panorama umano contenuto in «Polvere – Il grande processo dell’amianto», documentario di Andrea Prandstraller e Nicolò Bruna. L’epicentro del lavoro è Casale Monferrato e il processo celebrato presso il Tribunale di Torino giunto alla sentenza di primo grado il 13 febbraio 2012. In occasione di «Eternit(à)», evento organizzato a Bari dal Comitato Fibronit Cittadino e dall’Associazione Famigliari Vittime Amianto, abbiamo incontrato uno dei due registi.

Questo documentario ha raccontato un processo che è stato un spartiacque, cosa ha comportato per lei realizzare questo lavoro?
È stato un lavoro molto lungo ci abbiamo messo (assieme all’altro regista Nicolò Bruna, N.d.R.) circa quattro anni e mezzo da quando abbiamo preso i primi contatti con il comitato vittime di Casale Monferrato; un anno di riprese e cinque mesi di montaggio. Insomma è stato un lavoro duro che ha comportato una grande soddisfazione dal punto di vista umano, perché quando si entra in contatto con persone che hanno una straordinaria dignità nel vivere il proprio dolore e l’ingiustizia che hanno subito per un documentarista diciamo che è la ricompensa più grande che si possa avere.

Come è stato accolto questo documentario nel mondo cinematografico?
Questo documentario, che è stato prodotto da tre televisioni europee che sono la televisione belga di lingua francese la Rtbf, la Tsi che è la televisione svizzera di lingua italiana e «Artè he» che è la televisione culturale franco-tedesca, non ha trovato nessuno sbocco televisivo in Italia, nel senso che nessuna rete pubblica o privata l’ha voluto acquistare e mandare in onda. «Polvere» ha partecipato a moltissimi festival di documentari all’estero vincendone parecchi, da Rio de Janeiro a Bagdad; abbiamo fatto proiezioni negli Stati Uniti d’America, in Irlanda, in Francia e in purtroppo in Italia non siamo riusciti a farlo arrivare al grande pubblico.

Questo denota la chiusura di un certo sistema italiano?
Sì, secondo me denota una scandalosa chiusura, non perché sia il mio film, e oltre alla chiusura di tipo culturale, cioè la convinzione che alla gente non interessi niente di queste cose, c’è anche una cecità di economica secondo me, nel senso che quando il 3 febbraio 2012 c’è stata la sentenza Eternit (sentenza di primo grado emessa dal tribunale di Torino, N.d.R.) tutti i grandi giornali italiani hanno titolato in prima pagina «Sentenza eternit o Sentenza storica»; quindi presumo che se la Rai l’avesse acquistato e l’avesse mandato in onda anche alle undici di sera, mezzo milione di telespettatori lo tirava su lo stesso.

Se paradossalmente la Rai lo avesse per denaro…
Paradossalmente se l’avesse fatto semplicemente per denaro secondo me sarebbe stato un buon investimento, che tra l’altro costava poco. Ma non fanno neanche quello, sono totalmente avulsi dalla realtà, sono autocensurati. Non conoscono la realtà del Paese se non quella filtrata attraverso i loro occhi distorti, per cui bisogna proporre solo programmi di intrattenimento più o meno idioti. È una cosa sconfortante.