Della sostenibilità se ne fa carico, naturalmente a modo suo, anche la politica, o meglio i partiti che mostrano però di avere notevoli difficoltà sia a fare scelte critiche ed autonome rispetto agli interessi, solo particolari e autoreferenti, delle attività speculative della finanza globale, sia a comprendere le attese democratiche dei cittadini (qualità della vita, servizi, lavoro, relazioni sociali, cultura, ricerca…). In Italia, come scenario della sostenibilità (a parte i casi non rari di incresciosi episodi di corruzione, di difesa dei propri privilegi, di scadimento di valore dei contenuti e dei metodi nei loro interventi istituzionali, di ignoranza degli argomenti proposti alle loro «scelte consapevoli», di mancate illuminate prospettive che dovrebbero saper intuire e perseguire), gli attori della politica, ai più alti livelli di responsabilità, non sanno proporre nient’altro di diverso da leggi ad personam, tempi abbreviati per le prescrizioni, assurda depenalizzazione del falso in bilancio (fonte di corruzione ed evasione fiscale), complicazioni burocratiche, misure contraddittorie in tema di sviluppo, disattenzioni nei confronti dei più deboli e attenzioni rispettose nei confronti degli abusi dei più forti. Ma queste non sono scelte che potremmo definire genericamente insostenibili, sono piuttosto scelte che più precisamente dovremmo indicare come animate da interessi di altro tipo rispetto alle scelte, di efficienza ed efficacia economico-politica, attese dal paese. Mentre tutto collassa in discussioni inconcludenti sui Massimi Sistemi, non è sostenibile che la politica perda gli appuntamenti con i problemi reali che continuano a pesare sulla testa dei cittadini. Non è ancora sostenibile che Globalizzazione, euro, riforme costituzionali, grandi opere, reti telematiche… alimentino lo sterile mondo degli annunci dei progetti di un «fare» (che nel migliore dei casi costa ma, per fortuna, non raggiunge i pessimi obiettivi che si propone).
In questa situazione, mentre non si trovano rimedi per affrontare il disorientamento e la sottomissione imposti dai poteri finanziari, abbiamo che le depressioni e il senso di impotenza dei cittadini rischiano di aumentare in modo insopportabile, con esiti tragici e non isolati che non si devono sottovalutare. I governi, poi, in questo disorientamento improduttivo, finiscono anche loro stessi col ritrovarsi in condizioni non sostenibili già all’interno delle Istituzioni delle quali fanno parte. Non è raro, infatti, che i partiti di governo delle nostre ultime legislature, invece di occuparsi di come gestire un paese, siano stati spesso impegnati a tenere a bada un gregge irrequieto e indomabile di burocrati, di eletti o, peggio, di nominati, messi a difendere privilegi corporativi o mandati a fare da tappezzeria o da cani da guardia, di interessi precostituiti, all’interno delle istituzioni democratiche.
Intanto, avanza, oggi e silenziosamente, la preoccupante tentazione, di mettere ordine nei paesi finanziariamente più disordinati (per evasioni fiscali, per carenze o disorientanti eccessi legislativi in ordine alle questioni finanziarie delle imprese, per una corruzione dilagante che drena risorse economiche, per una finanza criminale che gestisce patrimoni immensi di denaro e fa pesare il suo potere sulle Istituzioni). È una tentazione che si manifestata in quegli stessi che, finora, se non hanno generato, proprio loro, il disordine, non hanno, quantomeno, fatto nulla per evitarlo, pur avendo precise responsabilità (hanno cioè lasciato andare le cose come andavano, per inettitudine o per interessi personali sicuri che alla sostenibilità si potessero dare sempre nuovi e conformabili significati di comodo).
Fra sfacciate corruzioni e spensierate connivenze con la criminalità economica e finanziaria, è sorprendente il numero e l’arroganza di quei molti che sono rimasti e continuano a rimanere impotenti di fronte alle volontà dominanti dei poteri finanziari e al degrado economico-sociale, che ne deriva, in particolare per il nostro paese. Sono personaggi, che «partendo da tre», hanno costruito o stanno costruendo una loro verginità per rimettersi in gioco per fare meglio (i propri interessi) e più di quanto hanno già fatto finora. La speculazione, infatti, è già tornata ad offrire gli stessi servizi (strutturando nuovi prodotti finanziari tossici, per continuare dare sostegno all’attuale e per loro lucrosa crisi) ed è del tutto sorda ai richiami di chi volesse condurla anche solo a più miti pretese.
Nel settore delle imprese produttive, non sono poche quelle che interpretando, poi, il senso più profondo (anche se non molto esplicitato) che anima l’ideologia liberista, hanno visioni sui generis molto «innovative» della sostenibilità e sono impegnate a fare competizione a modo loro: invece di offrire prodotti più avanzati (peraltro di dubbia utilità) puntano direttamente «in ogni modo» ad acquisire ingiustificate posizioni dominanti sul mercato, mascherate come espressioni dei loro successi (il doping in ambito sportivo è più che una metafora di ciò che avviene sui mercati). Il giusto e l’equo sono scomparsi dal lessico quotidiano di molti operatori economici e sono stati sostituiti da estrose e suggestive parole d’ordine che promuovono progetti incentivati dalla spesa pubblica (le città diventano smart city, il nostro mondo diventa «l’altro pianeta sostenibile», i treni andranno più veloci, l’industria diventerà green, la finanza pubblica e privata è diventata creativa e quindi inattaccabile qualunque cosa faccia, forse anche i rifiuti, trattati con le nuove tecnologie, diventeranno sostenibili e forse, un giorno, serviranno anche a sfamare gli indigenti, la ricerca sperimentale offrirà soluzioni per ogni problema di crescita senza limiti dei consumi, da quelli dell’energia a quelli della produzione sempre più robotizzata per realizzare economie di scala che, però, renderanno felici un numero sempre inferiore di cittadini, quelli meritevoli e premiati con un accesso ai consumi proporzionato al contributo che avranno offerto alla loro produzione).