Ci stiamo un po’ troppo arrendevolmente arrendendo a certe storie che, nate come leggende metropolitane, trovano oggi molta possibilità di veicolazione e propagazione anche grazie al web ed ai mezzi di informazione, non sempre pronti ad approfondire ma assai propensi a blandire le corde più emotive e superficiali di un’opinione pubblica refrattaria alle risposte complesse e scomode
Questa rubrica è dedicata alla salute ed a tutto il mondo che gira attorno ad essa. Poche parole, pensieri al volo, qualche provocazione, insomma «pillole» non sempre convenzionali. L’autore è Carlo Casamassima, medico e gastroenterologo, ecologista nonché collaboratore di «Villaggio Globale». Chi è interessato può interagire ponendo domande.
Leggerete quest’articolo (scritto prima della presunta fine del mondo) subito dopo la data presunta della presunta fine del mondo. Segno che se di fine del mondo si è trattato non deve essere stata una fine molto totale o molto distruttiva o molto convincente. Una fine non molto «finale» e come tale una non-fine. Per meglio dire: una bufala.
Una di quelle bufale alle quali ci stiamo un po’ troppo arrendevolmente arrendendo e che, nate come leggende metropolitane, trovano oggi molta possibilità di veicolazione e propagazione anche grazie al web ed ai mezzi di informazione, non sempre pronti ad approfondire ma assai propensi a blandire le corde più emotive e superficiali di un’opinione pubblica refrattaria alle risposte complesse e scomode. O poco «fascinose».
Mi viene in mente quest’immagine da «bufala Maya» mentre sento dell’ennesima truffa ai danni dei cittadini compiuta quotidianamente da parte di chi, quasi sempre privo di una laurea in medicina, si propone di risolvere i problemi di chicchessia (dal prurito al sovrappeso e via dicendo) tramite alcune «arti» semimagiche di nessuna consistenza razionale e prive di qualsiasi supporto scientifico dietro però (naturalmente) un lauto compenso.
In questo mondo in cui la fascinazione della superstizione è sempre all’erta e il wannamarchismo modello scioglipancia è addirittura un business sentiamo e vediamo sempre più fiorire veri e propri rituali caratterizzati da provette tenute fra le mani per «scoprire» quale cibo faccia ingrassare, esami citotossici per «capire» quale molecola ci renda meno belli, elettrodi lasciati scivolare sulla cute per «verificare» come il nostro organismo reagisca ai principi alimentari più svariati, conteggi di pulsazioni per «analizzare» la maniera in cui il corpo risponda a questo o quel composto e così via.
Il tutto senza un minimo di spiegazione scientifica razionale (se non si vuol trovare una risposta nella numerologia o nella piramidologia), senza un minimo di titolo di studio che garantisca il paziente e riporti questa interlocuzione nell’ambito di un serio rapporto fra cittadino ed esercente un’attività sanitaria, senza la possibilità di una verifica (visto che una caratteristica di questi fantasiosi test è la loro mancata ripetibilità) e senza molte altre cosette (ad esempio un luogo fisico in cui si svolgono queste pratiche che abbia le caratteristiche igienico sanitarie richieste invece agli ambulatori medici). In compenso i denari non mancano e si tratta dei denari sempre e comunque richiesti dagli «esperti» in queste presunte arti a coloro che, di volta in volta, vengono indotti a rapportarsi ad essi per via di un’acidità sospetta, di un formicolio insistente, di un aumento di peso incomprensibile, di una insonnia inspiegabile.
La soluzione di un bravo medico potrebbe essere, di volta in volta, rappresentata dall’ipotesi di una gastroduodenite, di una neurite, di una alimentazione errata ed eccessiva o di uno stato di tensione. Troppo facile, però, troppo semplice ed anche troppo compromettente: perché la fase successiva potrebbe esser quella di fare un esame in più o di assumere una postura più corretta o di ridurre le calorie introitate giornalmente o, infine, di fare un po’ di training autogeno (o bere una camomilla o ridurre le condizioni di tensione). Troppo semplice o troppo complesso a seconda dei casi. Sicuramente meno affascinante della possibilità di scoprire un presunto cibo che ci dà fastidio allo stomaco o che ci irrita i nervi o che ci «fa gonfiare» o che ci rovina il sonno. Un cibo «scoperto» da un esame fatto da un «esperto» (in truffe, forse) e praticato in uno stanzino senza requisiti igienico sanitari o nel retro di una farmacia che decide di fare il passo in direzione dell’ignoto e del piramidologico, appunto.
La medicina tradizionale (tradizionale? Ma perché, per andare per i cieli o per studiare gli atomi in modo non tradizionale c’è un metodo «alternativo»?) è a volte un po’ noiosa, soprattutto quando pretende di spiegare i nostri problemi con la logica della causa e dell’effetto (vecchio vizio razionalista). E allora via coi riti e coi fili e via con le provette e con i fondi di caffè. A pagamento, s’intende, almeno sino a che uno sprovveduto ci sta e chiede di esser truffato o rassicurato. Perché diciamoci la verità: quella pancetta lì è un po’ banale spiegarsela con l’abuso di cibo. Vuoi metter dal la colpa ai Maya?
Carlo Casamassima, medico e gastroenterologo