Omar Ronda è legato al mondo e alla società dei consumi anche per un altro fattore: con il suo operato propone una originalissima soluzione al consumo del consumo, vale a dire al problema dello smaltimento dei rifiuti, di ciò che non è più utile. E bene ricordare che Omar lavora con la plastica e i derivanti dalla raccolta differenziata e dal riciclaggio
«Portula, luogo introvabile e magico.
E certamente là, su quella scena, vi è la rappresentazione di una illuminazione, della prima percezione della realtà come scoperta di un’idea, caotica e perciò originale, del mondo».1
Portula come infanzia dunque.
Portula ansa, come richiama il nome, riposta in un mare di verde e di risonanti silenzi. Portula è il bosco di castagni. È il mormorio dei ruscelli dai nomi singolari: Rico, Valmala, Confienzo, Scoldo, Cevo. È lo scoglio della Civetta, è il picco della Mora. Portula è il luogo pànico: ogni cosa «vive» in una sua forma con la sua anima: ogni fiore, ogni erba, ogni albero ha il suo nome e il castagno, l’èrbu, l’albero per eccellenza, ha diecine di varietà che solo l’occhio del nativo sa distinguere.
Portula è luogo di masche, di spiriti e forse anche l’Uomo Selvatico saltuariamente vi capita. Nei meriggi estivi, tra i radi bagliori che traforano l’ombra, o nelle morbide luci primaverili o nel caleidoscopico crepuscolo autunnale ogni fruscio, ogni guizzo, ogni baluginìo, ogni verso fa irrompere da nere quinte esseri immaginari: sognati o temuti, e comunque attesi. I fantasmi, gli spiriti buoni e cattivi del luogo presenti nei racconti dei vecchi, il bestiario esotico delle prime letture: tutto è evocato in una fantasmagorica rappresentazione che tumultua nella mente del bambino.
Il bosco, l’aia, la stalla, il ruscello, diventano foresta, savana, caverna, fiume, le patrie lontane delle storie di Salgari, di London, di Kipling, i territori delle favole serali della nonna e della mamma… i racconti mitologici, i fotogrammi dei film in costume si miscelano, si sovrappongono, si innestano l’uno all’altro, ibridando l’immagine reale. Il gallo con i suoi speroni, coi bargigli, con la cresta puntuta, con le penne arruffate sublima le sue spigolosità negli aculei di un essere fitozoomorfo, il Gallocactus; nascono così il Panterocagallo, lo Scorpiogatto, il Gufonnivoro.
Con le parole e con il segno Omar Ronda opera questa trasmigrazione e intreccio elaborando lampanti emozioni. La trasmigrazione rivela al bambino che il qui e l’altrove non sono il vicino e il lontano, ma due idee che possono sovrapporsi e coincidere; l’adulto ricorderà poi che lì avvenne la scoperta della metafora, della metonimia, del simbolismo. Il testo dell’artista non è la pura e semplice citazione del disegno infantile. C’è in più l’esplicitazione di una intuizione registrata ma non decifrata dalla sensibile matita del bambino. Il salame o l’uovo fritto che compaiono nelle opere non sono, come qualcuno ha inteso uno sberleffo ritardato di un fanciullino persistente, ma un’applicazione della legge della trasmigrazione: la scoperta del movimento metaforico: nell’uovo c’è in potenza il pulcino, il gallo o la gallina… o la frittata (tutto diviene qualcosa). Così nel salame c’era un maiale. La materia non è la sua apparenza, ma l’idea che essa contiene e che si esprime.2
Nelle opere di Omar Ronda si percepisce molta più Natura e dichiarato rispetto per la sua integrità di quanto la sola apparenza possa denunciare.
Ma limitiamoci per ora alla sola apparenza; il materiale dominante, la plastica, nelle sue molteplici variazioni strutturali e cromatiche ci sembra dunque quanto di meno ecologico, intimo, organico ci sia in assoluto.
Plastica infatti ci suggerisce atteggiamenti come il consumismo, sensazioni come asetticità, freddezza, neutralità.
Ma la plastica di Omar Ronda, che è materiale e tecnologico per eccellenza (e ogni artista è e deve essere protagonista del proprio tempo e saper utilizzare gli strumenti espressivi che ne traducono l’efficienza) la plastica di Ronda, quindi, mantiene inalterata la propria natura «organica».
È proprio come risultante di una mutazione organica che questo materiale, di cui si lamentava l’asetticità, la neutralità e la freddezza, recupera la sua ragione di essere come materiale organico, originato dalla terra.
La plastica infatti è un derivato del petrolio che è un idrocarburo ovvero un composto organico di carbonio ed idrogeno; la sua origine è quindi naturale. La plastica è materia della terra.
L’artista nobilita il suo materiale, attratto com’è dalla sua malleabilità ed indistruttibilità, lo gratifica ai nostri occhi; al di là delle emozioni, che le sue composizioni suscitano, ne motiva e giustifica l’essenza materica ripercorrendo le tappe della sua millenaria genesi.
Nella serie di opere denominata «Fusioni Genetiche» la plastica rivelando la propria natura duttile, si concretizza in bassorilievi in cui sono imprigionate, congelate appunto come «fossili post-moderni», forme vegetomorfe talvolta reali talvolta sintetiche, e forme zoomorfe; queste ultime non frutto del lavoro dell’artista ma bensì oggetti facenti parte della produzione seriale dell’industria, reperti tecnologici sintetici, simulacri della realtà che l’artista assembla nelle concrezioni plastiche.
Così come organismi vegetali ed animali sedimentati nei millenni generano il petrolio estratto dalla terra dall’uomo e convertito in plastica, così Omar Ronda utilizza simulacri della realtà vivente per ricondurre la materia organica alla sua forma «originaria».
Risalire alla struttura originaria, ristabilire un contatto intimo con la terra, la Natura è un impegno costante nell’attività dell’artista. Il desiderio di colloquiare con il mondo naturale, pur assecondando l’evoluzione scientifico-tecnologica della propria epoca, mantenendo un profondo interesse nei confronti della genesi degli eventi, delle mutazioni della vita, sottende un atteggiamento positivo e costruttivo e la ferma convinzione che all’arte spetta sempre il compito di modificare, influenzare, arricchire l’esperienza esistenziale dell’artista, protendendosi anche nell’ambiente circostante pur senza alterarne, e questa è la cosa veramente importante, il prezioso equilibrio biologico. 3
Omar Ronda è legato al mondo e alla società dei consumi anche per un altro fattore: con il suo operato propone una valida e originalissima soluzione al consumo del consumo, vale a dire al problema dello smaltimento dei rifiuti, di ciò che non è più utile. E bene ricordare che Omar lavora con la plastica e i derivanti dalla raccolta differenziata e dal riciclaggio. A ciò si deve aggiungere il fatto che ha anche escogitato un antidoto da somministrare allo svilente consumo delle immagini quotidianamente logorate dall’invasivo flusso massmediatico, poiché le riveste con un’aura originata dall’alchimia artistica e le riporta al rango di icone, ovvero epifanie di un valore qualificante. Gli animali, come tante altre opere di Omar Ronda, hanno colori inverosimili, dimensioni innaturali, e spesso sono ambientati in contesti inusuali, ma sempre attestano una filosofia perfettamente eco-logica.4
1. Luigi Spina, «Memories», in «Omar Ronda, Work in progress», Parise Edizioni, Verona, 1992, p. 13
2. Luigi Spina, «Memories», in «Omar Ronda, Work in progress», Parise Edizioni, Verona, 1992, p. 13
3. Monica Gibertini, «Gentic Fusion», in «Omar Ronda, Work in progress», Parise Edizioni, Verona, 1992, p. 99
4. Francesco Santaniello, «Frozen», in «Omar Ronda, Super natura», Edizioni Gabriele Mazzotta, Milano, 2009, p. 103