Diabete, grido d’allarme dei centri territoriali

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Una malattia subdola, i sintomi, sono assai sfumati, all’inizio, e spesso si traducono classicamente in una condizione di poliuria e polidipsia (necessità di urinare spesso e di bere altrettanto abbondantemente) che non sempre vengono colti nel proprio significato più completo e non sempre, quindi, fanno scattare tutti i segnali d’allarme che possono giovare al paziente. «Risparmiare» oggi vuol dire pagare salato domani

Questa rubrica è dedicata alla salute ed a tutto il mondo che gira attorno ad essa. Poche parole, pensieri al volo, qualche provocazione, insomma «pillole» non sempre convenzionali. L’autore è Carlo Casamassima, medico e gastroenterologo, ecologista nonché collaboratore di «Villaggio Globale». Chi è interessato può interagire ponendo domande.

Del diabete troppo spesso si conosce esclusivamente il fatto che si tratti di una malattia caratterizzata «solo» dalla presenza di una maggiore quantità di zucchero nel sangue e che comporti la necessità di una terapia continua ed attenta. In realtà il diabete mellito (la forma più importante in termini di prevalenza statistica nel mondo fra i tanti tipi di diabete) è una condizione patologica assai più complessa e che ha, oltre che un esordio insidioso, anche una serie di manifestazioni cliniche di enorme impatto sulla qualità di vita e sulla durata stessa di vita dei pazienti che ne sono affetti.
Nel diabete mellito di tipo 2 l’aumento della glicemia oltre i valori di normalità (110 mg/dl a digiuno) è dovuto ad una condizione di insulino resistenza, essendo l’insulina l’ormone capace di spostare dal versante ematico a quello cellulare quello zucchero di cui le cellule e quindi l’intero organismo hanno necessità, mentre nel diabete mellito di tipo 1 tale deficit di insulina è causato da una vera e propria riduzione dell’insulina circolante per via della distruzione anticorpale del tessuto che la produce, vale a dire le Isole del Langehrans situate nel pancreas.
Il diabete mellito di tipo 2 è la classica malattia da civiltà moderna, essendo associato ad un’alimentazione eccessiva e troppo ricca in carboidrati semplici e ad uno stile di vita in cui moto ed attività fisica sono fortemente ridotti.
I sintomi, come dicevamo, sono assai sfumati, all’inizio della malattia, e spesso si traducono classicamente in una condizione di poliuria e polidipsia (necessità di urinare spesso e di bere altrettanto abbondantemente) che non sempre vengono colti nel proprio significato più completo e non sempre, quindi, fanno scattare tutti i segnali d’allarme che possono giovare al paziente.
Solo più tardi, a distanza di anni o di decenni, cominciano a comparire tutti gli altri segni della patologia e che investono ad uno ad uno tutti i più importanti organi del corpo: in particolare una rilevante angiopatia (un processo patologico ingravescente che colpisce sia i piccoli sia i più grandi vasi sanguigni) interessa apparati e funzioni vitali per l’organismo. Dal rene al cuore, dal cervello agli occhi la microangiopatia diabetica causa lesioni via via più drammatiche sino a rendere ineluttabili quelle complicanze che la scienza ha ormai messo in chiara evidenza di associazione col diabete: infarto, ictus, insufficienza renale, cecità.
Proprio perché è necessaria una forte attività preventiva e gestionale del diabete e delle sue complicanze in Italia sono stati istituiti Centri Antidiabetici che si accollano il compito di «prendere in carico» i diabetici, sin dal loro esordio clinico, per poterli accompagnare in una gestione diagnostica, educazionale e terapeutica della patologia che, quindi, «costa» molto in termini di impegno ma ancor più in termini di risorse economiche e strutturali.
Ai Centri Antidiabetici (o Diabetologici) spetta il compito di individuare le migliori modalità di intervento su ogni singolo paziente che, altrimenti, rischia di essere lasciato da solo di fronte alla propria malattia, in compagnia del proprio medico curante, certo, che però non può divenire l’unico referente nella gestione di un quadro che richiede continui aggiustamenti e frequenti controlli (che spaziano dall’aspetto dermatologico a quello nefrologico a quello cardiovascolare da quello dietologico a quello oculistico).
I Centri Diabetologici sono sorti un po’ dappertutto, in questi ultimi anni, ed hanno cominciato ad intervenire sempre più assiduamente in realtà che troppo spesso sono gravate da una eccessiva farraginosità procedurale e burocratica, mentre invece il paziente diabetico tipo è caratterizzato il più delle volte da un atteggiamento psicologico e mentale che tende a «scordarsi» della propria malattia, confinandola nel campo delle ineluttabilità quando non delle semplici «caratteristiche» del proprio organismo. Almeno sino a che non cominciano a comparire uno alla volta i disturbi che denunciano lo stato di degenerazione di quelli organi che elencavamo. La conseguenza che, da un certo momento in poi, è che la vita di un diabetico «complicato» si trasforma in una continua rincorsa a cercare soluzioni sempre meno efficaci alla propria inefficienza visiva o renale o cardiovascolare o motoria.
I Centri Antidiabetici dovrebbero svolgere (ed in grossa parte già svolgono) il compito di insegnare al paziente la modalità migliore per far sì che la progressione delle complicanze sia la più lenta possibile e che, quindi, qualità di vita e sua durata rimangano all’interno di una cornice di accettabilità personale e sociale.
Il grido d’allarme di molti esperti in diabetologia, però, spinge a prendere atto dell’ennesima «stretta» sulle risorse dedicate alla funzione se non alla vita stessa di questi importantissimi presidi territoriali: un’altra vittima dell’innalzamento dello spread (dicono i diabetologi toscani, ad esempio, che sono all’avanguardia nella gestione della malattia) è e sarà sempre più la rete territoriale dei Centri contro il Diabete sui quali pare si stia abbattendo l’ennesima mannaia di presunto risparmio.
Assai presunto, in realtà, ed anzi del tutto illusorio, perché se le scelte verso le quali ci si incammina sono quelle di ridurre gli interventi territoriali che consentono di gestire al meglio le fasi iniziali del diabete mellito il prezzo da pagare, fra qualche anno, sarà salatissimo: in termini di qualità di vita dei pazienti, di durata delle loro vite, di necessità di ricoveri ed interventi ospedalieri su cuori, reni, cervelli, occhi, piedi, resi tutti più deboli dal mancato o dall’insufficiente approccio diagnostico e terapeutico.
In certe malattie il follow-up è la vera carta jolly per evitare il peggio e rimandare, per quanto possibile, situazioni di assoluto pericolo. Ma pare stia prevalendo la logica del «risparmiare oggi per poi vedere domani cosa succede». Una logica autolesionistica e per certi aspetti criminale.
Le coperte troppo corte fanno solo finta di riscaldare. Ciò che rimane scoperto, spesso, finisce per morire.