Noi avremmo preferito sponsorizzare ben altro: per esempio, una scelta di vita: «fate più sport», magari in collaborazione con il Coni o il ministero della Salute, oppure «mangiate meglio e con meno grassi!» magari in collaborazione con Slow Food o «andate in bicicletta» magari in collaborazione con il ministero dello Sport
Questa rubrica è dedicata alla salute ed a tutto il mondo che gira attorno ad essa. Poche parole, pensieri al volo, qualche provocazione, insomma «pillole» non sempre convenzionali. L’autore è Carlo Casamassima, medico e gastroenterologo, ecologista nonché collaboratore di «Villaggio Globale». Chi è interessato può interagire ponendo domande.
Ha destato non solo curiosità ma anche qualche mugugno e diverse critiche la scelta fatta dal più grosso sindacato dei medici di famiglia nel momento in cui ha deciso di farsi «sponsorizzare» da un prodotto alimentare con tanto di nome di vendita. Mentre sino ad ora il sindacato dei medici di base (quelli cioè che vengono visti o percepiti come i medici più vicini alla realtà di ogni cittadino ed ogni paziente) aveva evitato di associare il proprio nome e la propria immagine ad un prodotto commerciale, ora, invece, ha fatto una scelta opposta ed ha accettato di farsi accompagnare e finanziare da due note marche di acque minerali.
Può apparire piccola cosa o addirittura non degna di essere portata a commento generale ma le perplessità, i malumori, le vere e proprie critiche sono cominciate un attimo dopo la presa d’atto del nuovo corso dell’organizzazione sindacale in questione. È giusto che i sindacati medici (quindi nell’immaginario collettivo i medici tout court) si assumano il peso e la responsabilità della promozione di un prodotto commerciale specifico, scegliendo (e quindi facendo scegliere) non un generico alimento bensì uno specifico prodotto commerciale che quindi viene ad essere interpretato dalla gente comune come un prodotto «garantito» e sicuro, in qualche modo al contrario di tanti altri? Ha senso dire che un’acqua minerale ha il timbro della sicurezza medica (o quantomeno della loro benevolenza che però scientificamente ha il sapore di un vero e proprio marchio doc) diversamente da altre acque? E il fatto che altre acque non siano «timbrate» e garantite da medici (sindacati o no fa poca differenza nella lettura e nella percezione degli utenti) ha il senso della bocciatura o della mancanza di iniziativa commerciale di chi la imbottiglia e la vende? Possiamo fidarci di una assicurazione fatta a nome di un sindacato e non di una società scientifica? Sono stati compiuti specifici esami di laboratorio prima di affidare il nome e la reputazione di una classe professionale all’etichetta di quell’acqua anziché delle altre mille?
In realtà potremmo continuare a lungo con gli interrogativi ed a lungo potremmo insistere sui dubbi e i chiaroscuri di una preferenza che, per piccola che possa sembrare, apre indubbiamente la strada non a sponsorizzazioni indistinte (diverso sarebbe stato farsi sponsorizzare da una banca o da una società assicurativa) bensì a collaborazioni e gemellaggi che, a nostro modesto avviso, anziché diminuire la confusione e il disordine comunicativo in cui siamo troppo spesso costantemente immersi, la aumentano in maniera considerevole lasciando ampi spazi a considerazioni ed a comportamenti di dubbia opportunità.
I finanziamenti ed i sostegni che saranno ricavati da questa forma di patrocinio saranno devoluti a corsi di formazione e di perfezionamento di giovani medici, questa è la nobile motivazione che sostiene una parte o tutta la scelta di gemellarsi (excusatio non petita, avrebbero detto i latini, probabilmente, con il retro pensiero che «di buone intenzioni» sono lastricate non raramente strade poco virtuose).
Fatto sta che noi siamo fra coloro i quali ritengono che proporre (ed indurre all’acquisto) uno specifico prodotto commerciale non sia né compito né prerogativa della professione medica sia in forma singola sia in forma associata. Diverso sarebbe stato proporre un maggior consumo di acqua in collaborazione con tutte le case produttrici di acque minerali (già, ma poi come spiegare la sostanziale ed implicita bocciatura dell’acqua di rubinetto?) che però avrebbe trovato ben poco interesse nei venditori di acqua in bottiglia per la sostanziale inutilità di un messaggio così generico oppure, viceversa, mandare un segnale chiaro in direzione del consumo dell’acqua del rubinetto (la qual cosa avrebbe comunicato tranquillità di consumo e opportunità di scelta, in un contesto ecologista di spinta alla riduzione degli imballaggi oltre che di fiducia verso i propri rubinetti ed i loro controllori) con però inevitabili preoccupazioni da parte dei venditori di acque minerali.
Insomma, come la si metta, scegliere di scegliere e di far scegliere è impresa irta di difficoltà e contraddizioni su cui comunque non ha senso stendere il velo del silenzio (o dell’opportunismo).
Noi avremmo preferito sponsorizzare e farci sponsorizzare da ben altro: per esempio, una scelta di vita («fate più sport», magari in collaborazione con il Coni o il ministero della Salute, oppure «mangiate meglio e con meno grassi!» magari in collaborazione con Slow Food o «andate in bicicletta» magari in collaborazione con il ministero dello Sport).
Dire di bere più acqua va in genere bene (quando per esempio non si è in condizioni di insufficienza renale o di scompenso cardiaco) ma spingersi a dichiarare quale tipo di acqua bere diventa quanto meno rischioso: e di sicuro non è sempre facile come bere un bicchiere d’acqua.
Carlo Casamassima, medico e gastroenterologo