L’economia finanziarizzata e il mercato libero (quest’ultimo tutto impegnato a favorire la crescita di consumi senza regole) hanno sia deformato la nostra natura (facendoci passare dall’originale e fruttuoso lavoro di ricerca, delle risposte ai nostri bisogni, pur se faticoso, tormentato e interminabile, all’invenzione e spreco di labili prodotti di moda da gettare dopo un loro rapido uso). Un sistema che mostra chiari segni di un suo avanzato stato fallimentare strutturale (per inaffidabilità e degenerazione dei suoi riferimenti istituzionali) e non solo funzionale (con i suoi risultati economici, sociali, politici… disastrosi dovuti all’incapacità di affrontare le pur note, prevedibili e ordinarie congiunture della nostra storia).
Siamo di fronte ad un liberismo scivoloso che afferma e nega ciò che afferma (almeno nei fatti), che pretende (nella sua ormai distruttiva presenza nell’ambito della gestione razionale delle risorse economiche) di farci rinunciare anche al senso del nostro vivere sociale, alle nostre identità culturali, di ridurci in condizioni di impotente emarginazione fino a imporre, ad ogni fenomeno vitale, i suoi banali, devianti modelli assoluti di libero mercato, come variabile indipendente e che ha, come programma, il consumo terminale delle risorse naturali. C’è solo l’imperativo «vincere o soccombere» nell’«assoluto» liberista, declinato per l’indottrinamento globale delle masse, che si propone di piegare, ogni cosa e ogni fatto, ai suoi propositi di dominio universale sul mondo.
È un imperativo che non ammette collaborazioni sinergiche, ma solo equivoche conquiste di fatto (mascherate alla nostra vista, per opportunismo tattico) e l’esercizio del potere come arma universale per risolvere i conflitti che lo stesso totalitarismo liberista infiamma negli scenari nazionali ed internazionali (per soddisfare la sua arrogante sete di vittoria ideologica, accompagnata, come se non bastasse, anche da elevatissimi costi sociali).
C’è qualcosa di diabolico che non riusciamo ancora a riconoscere nel male veicolato dalle ideologie (in particolare, oggi, da quelle liberiste) che nel XX secolo hanno pervaso e continuano, ancora oggi nelle società occidentali, a pervadere e a fare presa con la suggestione di un progresso fatto immaginare come il bene, ma che in realtà è solo lo sviluppo di un mercato tecnologico-finanziario autoreferente.
Il mercato liberista, però, non offre solo consumi. Infatti, è anche un’agenzia educativa implicita, potente e micidiale, che convince su un’idea di benessere fondata sul possesso degli oggetti dei nostri desideri (il ben-avere) e sull’ostentazione di una nostra immagine nella quale compiacerci (il ben-mostrare). In realtà questo tipo di desideri o di compiacimenti non sono fonte di benessere, ma solo fonte di auto gratificazione, che fa vivere e alimenta un avvilente e violento solipsismo (esercitato, con la meschinità di un arrogante prepotenza e supponente saccenteria, contro scelte di condivisione sociale di progetti di progresso e di umana solidarietà).
L’appagamento dei desideri e i compiacimenti non sono una nostra idea di benessere, ma sono aspirazioni eterodirette ed effetto solo di indottrinamenti veicolati da suggestivi modelli di vita (proposti dai prodotti di consumo, forse con obiettivi impliciti che vanno ben oltre la semplice informazione pubblicitaria) e da una formazione occulta delle coscienze (attraverso preordinate scelte divulgative, dei contenuti, dell’interpretazione e dell’informazione, su modelli di sviluppo tecnologico-finanziario e nei programmi di intrattenimento).
Un effetto finalizzato a far trovare una nostra identità nel compimento di un dovere (fatto immaginare pieno di significati) di operare come consumatori onnipotenti e nel venir premiati, per essere tali, senza dover sopportare le responsabilità che ne derivano. Di fatto, siamo indotti ad una sorta di piacere istintivo e di acritica sorpresa di poter gratuitamente aderire a modelli di comportamento e di modi di pensare, preordinati che danno certezze immediatamente spendibili e senza apparenti costi, che addestrano all’uso giocoso ed euforico dei meccanismi compulsivi del mercato dei consumi, della competizione, della ricchezza.
Un meccanismo che produce, in realtà, solo distruttive abilità entropiche, di consumo del mondo. Un meccanismo che con tecniche e tecnologie movimenta un magazzino di cose e modi di essere che alimentano solo consumi e profitti. Senza procurare vantaggi per la qualità della nostra vita, gli elementi e i risultati di questo meccanismo sono proposti e assunti come qualificati e unici misuratori di una realtà fatta di successi (ottenuti anche con sopraffazioni e furbizie), di opportunità per inventare situazioni a vantaggio solo di particolari e predisposti interessi individuali.