C’è chi il benessere lo trova, e si sente fortemente motivato a trovarlo, nei valori di una ricchezza economica raggiunta con infidi raggiri e scorrettezze a danno di altri.
C’è chi il benessere lo trova nel monopolio strategico di strumenti (macchine, tecnologie, software…) o nel possesso e sfruttamento delle risorse materiali (petrolio, minerali metalliferi, prodotti agricoli, ma anche bellezze naturali), essenziali per il «fare le cose», che gli permettono di sentirsi onnipotente nel «deciderne», lui stesso, il prezzo sul libero mercato (che, così, tanto libero, non sembra più). È un benessere spesso perseguito, con prepotenze e abusi, a danno di popolazioni inermi, anche applicando ad esse quel ben collaudato divide et impera che trova, nelle moderne armi di distruzione, ancor più efficaci strumenti per trasformare, le relazioni umane di intere comunità, in lotte fratricide. Un modo, questo, per poter esercitare più agevolmente il proprio dominio sulle risorse di territori, se non proprio senza governo delle proprie cose, sicuramente martoriati da problemi di ordine sociale interni, e con popolazioni disorientate e tormentate da problemi di sopravvivenza.
C’è chi il benessere lo chiede, sempre più invano, almeno come risarcimento dei disagi, delle rinunce e dei sempre maggiori danni prodotti da uno sviluppo che, promettendo un non ben individuato progresso, ha solo legittimato un diritto individuale, alla onnipotenza sulle cose, che diventa un dovere di sottomissione per tutti gli altri (ai quali viene, così, sottratta anche la disponibilità di beni comuni). Un diritto individuale, quindi, esercitato come potere sui propri simili (e non solo) fino, a condizionare e limitare pesantemente l’esercizio responsabile delle loro libertà e quelle visioni del mondo (alternative alla globalizzazione finanziaria) da mettere alla prova, per possibili scelte di progresso umano.
C’è chi il benessere lo trova nel votarsi ad un padrone che lo rassicuri sull’esercizio di una propria libertà immaginaria (se non anche illegale) che può arrivare a coltivare e a difendere come fosse una fonte assoluta di bene.
C’è chi il benessere lo trova nell’immaginare e accettare un destino col quale ritiene inutile confrontarsi e del quale, invece, può essere più conveniente sfruttarne, in qualsiasi modo e senza farsi problemi, quelle opportunità che offrono vantaggi personali e modi per trasferire ad altri il peso delle proprie responsabilità.
C’è chi non è convinto che cercare il benessere sia un bene e preferisce vivere alla giornata, perché i progetti a più lungo termine finiscono male e, fra delusioni e ingiustizie, servono solo a procurare la fortuna ad altri più che a se stessi.
C’è chi, il benessere, non è interessato neanche ad immaginarlo e vive senza alcuna partecipazione tutto ciò che succede negli intervalli fra il nascere e il morire dei fenomeni.
C’è chi il benessere lo vive nell’impotenza che attribuisce ad una propria condizione e, se spera in un futuro migliore, lo fa solo per passare, senza soccombere, la triste nottata che gli è toccata.
C’è chi il benessere neanche sa che cosa possa essere e lotta unicamente per sopravvivere.
C’è chi il benessere lo trova nelle alienazioni irrazionali offerte da modi di esistere sostanzialmente precari, ma costruiti su inviolabili fantasie personali.
C’è chi il benessere lo cerca in consapevoli rapimenti ideali o mistici che possono portare ad astenersi dal fare qualunque cosa o a operare silenziosamente e senza condizionamenti estranei alla propria volontà, per assumere responsabilità nel gestire speranze, nell’indagare sulla natura del proprio essere e dei relativi contesti, nell’interrogarsi sulle cose e sui fatti, sui pensieri e comportamenti spontanei personali e dei propri simili, fino a trovare una ragione, anche superiore, che possa dare un senso al vivere umano.
C’è chi il benessere lo trova nel condividere le proprie idee e le proprie esperienze per arricchire le opportunità di comprendere la realtà e far avanzare la positività di un benessere come valore sociale, e c’è chi, invece, immagina un proprio concetto di benessere assoluto e che vorrebbe imporre ad altri pensando di poter, così, ricevere conferme sulle verità, delle quali è convinto, che le proprie idee siano portatrici.
C’è chi il benessere lo trova nel fare le cose, alcune forse anche a sua insaputa, e non si dà ragione, e rimane amareggiato, per gli incomprensibili ostacoli che vengono creati per frenare il suo sincero impegno sociale.
Ma c’è, anche, un benessere invocato per dare sostegno e creare attraenti suggestioni verso proposte partitiche, pronte a sfruttare la disponibilità umana a coltivare speranze, fino ad affidarle a inattendibili promesse politiche fatte da improbabili benefattori (se non proprio anche preordinate per approdare a scelte o regimi autoritari). In questi casi, messi da parte quelli che agiscono in malafede, non possiamo, però, nascondere che questo benessere (argomento persuasivo per far passare, come scelte indolori, svolte populiste o dittatoriali) può trovare un efficace appoggio in quei molti che, pur astenendosi da ruoli attivi nel favorire scelte autoritarie, offrono, come massa silenziosa, un loro implicito consenso, diventando, così, loro stessi vittime di una propria, apparentemente innocente, neutralità.
Il benessere, dunque, è materia complessa che non può essere lasciata all’arbitrio di pochi e limitati, pur se illuminati, punti di vista. Il benessere sembra, piuttosto, avere le caratteristiche di un bene da negoziare che deve coinvolgere, per il suo valore primario, tutta la nostra intelligenza, la nostra lucidità nelle visioni delle cose e la correttezza mentale delle nostre analisi (per trovare un equilibrio fra interessi diversi che diventano sostanza di relazioni e laboratorio per l’esercizio di sinergie): ogni altra impostazione ricade nelle casistiche, purtroppo ampie, del non comprenderci, delle intolleranze, della criminalizzazione e lotta alle diversità dei nostri modi di pensare e comportarci.
L’uomo, oggi, sembra trovarsi di fronte a scelte vissute come obbligate da visioni deviate della realtà. Infatti, mentre è alla ricerca di un benessere, viene oggi, spinto verso una visione ideologico-produttivistica del sopravvivere che, in alcuni casi, può portare, per esempio, a una rimozione dei limiti di tempo a propria disposizione. Anche se non si arriva a immaginare una propria immortalità, c’è almeno una tendenza a immaginare una misura sempre più elevata della propria speranza di vita. Viene, così, attivato un parallelo interminabile «darsi da fare» senza pause che sottrae momenti essenziali per le inalienabili riflessioni sulla propria autonomia e su quel senso delle cose che danno direzione e valore al tempo e alle energie da spendere nei propri impegni di vita.
C’è una voglia di durare, di possedere quantità di tempo e di cose, sempre maggiore, che sopravanza fino ad annullare quelle nostre qualità umane di saper programmare i momenti vitali dell’esplorare, valutare, scegliere, per diventare ed essere noi stessi nella fisiologia di un tempo da vivere, che abbiamo a nostra disposizione, e che, pur limitato, possiamo gestire intelligentemente e industriosamente senza affanni e insulse deviazioni.
Il benessere è il frutto di idee e di organizzazione sociale che non possono essere definite una volta per tutte e che sono, invece, costruite su esperienze relazionali condivise (provenienti da esperienze diverse) e su personali impegni alla riflessione sui significati del nostro esistere. Perciò, pur se è vero che stare in allerta e contrastare una «morte», sempre incipiente e da controllare, offre momenti che fanno vincere le battaglie per la nostra sopravvivenza quotidiana, non possiamo, però, distrarci «fino alla morte», dai bisogni, intimi personali e collettivi, di dare un senso umano alle cose che nella morte, così come nella nascita, trovano fondamentali riferimenti per definire un concetto, almeno contestualizzato e condiviso, di benessere.