Oggi non abbiamo alternative praticate, né progetti fattibili da proporre in sostituzione dell’attuale nostro modello di vita, impostato sui consumi ed estremizzato dal liberismo mercatista, che predica separazioni, di tipo razziale, fra vinti e vincitori, e il primato assoluto (vedi gli accordi imposti dal Wto) degli interessi privati su quelli collettivi.
Da una parte c’è un mondo senza regole condivise ed eque (o meglio un mondo costruito solo su astuti privilegi, imposti da inesistenti meriti e da demenziali eccezioni, di volta in volta applicate a principi estemporanei dichiarati, però, inviolabili; per esempio, si dichiara che lo Stato non deve interferire nelle attività private, ma ne è stato richiesto, poi, l’intervento quando è stato necessario salvare quelle imprese finanziarie che, in realtà, avrebbero dovuto disconoscere la legittimità di tale intervento). Da un’altra parte c’è sia un sistema di non controllo (vedi le mancanze di intervento da parte di molte autority; per esempio, in questi giorni, quella per le attività bancarie italiane che è stata informata, su illeciti bancari, dalla magistratura alla quale, invece, avrebbe dovuto proprio lei denunciare quegli stessi illeciti), sia attività che invocano ambigui riferimenti a pratiche liberiste (che sostanzialmente intralciano, fino ad impedirla, la vita democratica e la condivisione delle libertà civili nei paesi occidentali che hanno aderito al Wto; per esempio, da parte delle società multinazionali, sui governi nazionali, attraverso minacciose pressioni sui loro mercati finanziari), sia un sistema di conflitti distruttivi fra gli interessi dei diversi poteri forti che ambiscono, ciascuno a modo suo, a costruire e far valere un mondo a immagine e somiglianza dei propri interessi (vedi quegli interessi economico-finanziari che spingono particolari interventi militari, per «portare la democrazia» in alcuni paesi di loro interesse, ma che, poi, entrano in pericoloso conflitto con altri interessi economico-finanziari, pur convergendo tutti in uno stesso regime liberista e in uno stesso organismo, il Wto, che lo garantisce). Dunque, sono presenti tanti scenari (economici e finanziari) critici che potrebbero finire fatalmente col programmare, con la loro fine, anche quella di intere comunità umane.
Abbiamo, oggi, la necessità di provvedere alla costruzione, alla verifica sul campo e all’aggiornamento di sistemi socio-economici alternativi che siano capaci di esprimere creatività e iniziative (da proporre anche ad una partecipazione decisionale diretta e operativa nei momenti delle scelte), che non si facciano mettere fuori gioco (da minacce mirate a bloccare il cambiamento o da priorità consumistiche) e che siano, invece, potenziati da un uso razionale (e non solo sostenibile) delle risorse disponibili per promuovere il progresso umano. Abbiamo anche l’urgenza di imparare a leggere quel libro di istruzioni (sul funzionamento complesso della natura) e di suggerimenti (per le nostre scelte) che è raccolto nelle conoscenze che sappiamo rilevare dallo studio dei fenomeni naturali e delle prospettive del loro divenire.
Non possiamo però aspettare che queste azioni vengano attuate dall’improbabile genialità di qualche illuminata intelligenza superiore, perché, nella ricerca del benessere, quello che conta non è la genialità di un’idea, ma la pratica del riconoscimento dei problemi, (da parte delle comunità umane coinvolte) e dei modi per affrontarli che spettano, direttamente, alle scelte di tutti quelli che li vivono personalmente, ma anche a quelle relazioni che danno tenuta ai sistemi economico-sociali dei nostri piccoli e grandi intorni di vita. Sono tutte azioni che devono potersi esprimere in forme democratiche (di diffuse, vitali, efficaci, significative e innovative relazioni umane).
Per dare un senso al benessere (che non sia solo uno stare in un ambiente fisico sicuro e confortevole) dobbiamo passare dal ruolo di spettatori del nostro consenso acritico, a quello di costruttori consapevoli e responsabili (anche nella direzione di un futuro attento alle responsabilità intergenerazionali, oggi troppo trascurate). Non possiamo disertare un progresso che ha la finalità di offrire a tutti l’opportunità di esprimersi e di impegnarsi in progetti di vita articolati (anche su attese personali, ma coordinate per trovare spazi condivisi di creatività e di apertura alle relazioni) che possano integrarsi, così come si integrano, in uno scenario dinamico, quei significati e senso del vivere che offrono risorse materiali e immateriali per le nostre ineludibili ricerche esistenziali condotte con l’esplorazione delle diversità e, ancora, così come si integrano le diverse risorse e prospettive offerte, alla nostra osservazione, dalla ricchezza che compone un paesaggio naturale.
Benessere è anche pensare che c’è un significato nei processi naturali da trovare e un’intelligenza e senso di cose umane, da esercitare con consapevolezza. Il benessere non consiste certamente nella quantità di risultati solo formali che si possono far misurare da una bilancia, ma nella qualità dell’equilibrio del divenire vitale della nostra realtà.
L’uomo ha prerogative che trovano valore in azioni collaborative che esprimono intelligenza collettiva, frutto di sinergie, che mettono in moto le migliori qualità creative e che vanno oltre gli interessi solo individuali o di gruppo. La natura umana offre capacità di riflettere e genialità creativa, che sanno integrare le diversità, che permettono di andare oltre le loro singole applicazione, solo meccaniche, sulle cose e i fatti della realtà. Sono capacità e genialità, da spendere in favore della qualità del vivere e del bene comune, che permettono a ciascuno sia di disporre più di quanto potrebbe procurare, da solo, per se stesso, sia di costruire relazioni che rispondono a bisogni umani profondi e che permettono un benessere, riconoscibile negli altri, da condividere nella diversità e non nella ricerca di rassicuranti ma opprimenti omologazioni e omogeneizzazioni.
La riflessione è una buona pratica di vita, specifica degli esseri umani, da valorizzare, per trovare quel senso del vivere che va oltre la preoccupazione della sopravvivenza. Questa, da sola, diventa, infatti, una preoccupazione alienante e nefasta (perché finirà con l’essere gestita dai nostri istinti e dai nostri affanni irrazionali). È una preoccupazione che spinge ad accumulare provviste di ogni genere, a impossessarsi, per uso personale, di quelle chiavi universali (il denaro e le capacità finanziarie) che dovevano servire a favorire lo scambio equo di risorse e che, oggi in particolare, servono a garantire, invece, accessi esclusivi a rassicuranti certezze formali, a poteri estremi sui propri simili e sulle cose.
Tutta una struttura (di possesso di beni, di poteri e di visioni, parziali se non egoistiche, della realtà) che genera confortanti surrogati di onnipotenza e che inibisce virtuosi confronti, riflessioni e valutazioni critiche, sui quei limiti, della condizione umana, sui quali avrebbe voluto, invece, far immaginare di saper porre rimedio.
Di fronte alle difficoltà personali del vivere, tutti facciamo riferimento alla buona pratica del riflettere prima di prendere una decisione. Parliamo anche con altri dei nostri problemi, in particolare ne parliamo con le persone più care con le quali condividiamo esperienze, conoscenze e scelte di vita quotidiana. Sono situazioni che non ricerchiamo, solo per trovare conforto ad un nostro malessere, per ricevere un aiuto che serva a superare un particolare nostro problema. Al di là delle contingenze, riflettiamo e ci relazioniamo, infatti, nella speranza di poter rispondere ad una ricerca (almeno implicita e forse più profonda di quanto ne possiamo essere consapevoli) che ci permetta di definire e aggiornare continuamente, in tempo reale, quelle condizioni di benessere tanto più necessarie, per la qualità della nostra vita, quanto più riconosciamo e sentiamo il bisogno di gestire le diversità che sono ricchezze, proprie di ogni essere umano.