I risultati di una ricerca effettuata presso l’University of Exeter, in Gran Bretagna. Il binge drinking espone con fondata certezza al rischio di incappare nella malattia con maggiore e significativa differenza rispetto alla popolazione di controllo. Non si tratterebbe più solo, quindi, di fare i conti con deficit più o meno momentanei di memoria o di capacità di controllo o di lucidità bensì con una lesione che in breve tempo produce conseguenze e danni cronici che vanno ad evidenziarsi dopo molti anni con l’emersione di una patologia degenerativa assai deflagrante
Questa rubrica è dedicata alla salute ed a tutto il mondo che gira attorno ad essa. Poche parole, pensieri al volo, qualche provocazione, insomma «pillole» non sempre convenzionali. L’autore è Carlo Casamassima, medico e gastroenterologo, ecologista nonché collaboratore di «Villaggio Globale». Chi è interessato può interagire ponendo domande.
Bere più tipi di bevande alcoliche (in genere almeno cinque diverse fra loro) per passare serata e nottata, con gli amici, alla ricerca dell’ubriacatura forte e della perdita di controllo di sé stessi, nel più breve tempo possibile e senza necessariamente essere degli alcool-dipendenti è denominata dagli specialisti del settore col termine anglosassone di binge drinking (letteralmente «bevuta da baldoria»).
Si tratta dell’abitudine che sta rapidamente facendo proseliti fra quei giovani che, pur non essendo in realtà dei veri e propri dipendenti dalle bevande alcoliche nel resto della settimana, cercano insieme agli amici di ottenere il massimo dell’effetto stordente dell’alcool con la massima fretta, in modo da evadere mentalmente senza alcun tempo di latenza.
Per ottenere questo risultato il «trucco» è quello di bere uno di seguito all’altro (o comunque a distanza estremamente ravvicinata fra essi) non solo un buon numero di bicchierini di superalcolici ma soprattutto di diversificarne il tipo in maniera da esaltarne sinergicamente gli effetti ubriacanti. Lo sanno purtroppo sin troppo bene quegli adolescenti che, sempre più numerosi, si sono affacciati alla pratica del binge drinking senza rendersi bene conto di quali possano essere i deflagranti effetti collaterali di questa davvero poco raccomandabile moda.
Si pensa infatti che mescolare fra di loro diversi superalcolici possa al massimo essere un facilitatore di sbornia e che quindi solo questa possa e debba essere considerata come conseguenza delle allegre e facili bevute di gruppo. In realtà la pratica del binge drinking era stata già messa sotto accusa con decisione da una notevole messe di studi clinici che ne avevano valutato e messo in luce gli effetti lesivi su diversi organi ed apparati, da quello cardiaco a quello gastrointestinale, da quello immunitario a quello ematologico, da quello ormonale a quello muscolo scheletrico.
Al primo posto, però, era chiaramente evidenziata la serie di disturbi a carico dell’apparato neurologico (proprio per via del fortissimo calo di capacità di autocontrollo che consegue l’assunzione di superalcolici mescolati fra di loro e bevuti a distanza di tempo assai ristretta), con la conseguenza dell’aumento fra questi forti bevitori occasionali di incidenti stradali, comportamenti violenti, facile aggressività, tendenza al suicidio. La causa sarebbe da ricercarsi nell’alterazione dei livelli di noradrenalina, serotonina, acetilcolina e dopamina che risentono negativamente di livelli alcolemici maggiori del consentito, sino ad impazzire per concentrazioni etiliche nel sangue che, nei soggetti dediti al binge drinking, possono raggiungere in poche ore di drink lo 0,20%.
Tutto ciò era abbastanza noto ai ricercatori e costituiva già di per sé un ottimo motivo per evitare questa pratica e per scoraggiarne fortemente la diffusione.
Il fatto nuovo è rappresentato dai risultati di una ricerca effettuata presso l’University of Exeter, in Gran Bretagna, e presentata al recente Alzheimer’s Association International Conference 2012 tenuta a Vancouver, in Canada: il binge drinking espone con fondata certezza al rischio di incappare nella demenza di Alzheimer con maggiore e significativa differenza rispetto alla popolazione di controllo. Non si tratterebbe più solo, quindi, di fare i conti con deficit più o meno momentanei di memoria o di capacità di controllo o di lucidità (destinati perciò a sparire «nello spazio di un mattino» a sbornia passata) bensì con una lesione che in breve tempo produce conseguenze e danni cronici che vanno ad evidenziarsi dopo molti anni con l’emersione di una patologia degenerativa assai deflagrante come quella dell’Alzheimer che è a tutti gli effetti gravemente invalidante e non autolimitante.
Sarebbe assai utile che ciascuno fosse consapevole di quali e quanti danni può fare la moda del «troppo alcool, in troppo poco tempo»: sarebbe utile che ne fossero consapevoli i più giovani, che rischiano di esporsi a rischi drammatici che si evidenziano peraltro a distanza di tantissimo tempo; sarebbe utile che ne fossero consapevoli le famiglie e gli educatori (troppo spesso portati a classificare fra le bravate quelli che sono dei veri e propri attentati alla salute dei ragazzi); sarebbe infine utile che ne fosse consapevole l’intera società. La quale, magari, facesse passare un messaggio educativo ed informativo più completo.
Mostrare infatti ai giovani le immagini di un incidente stradale occorso con i guidatori in stato di ebbrezza è certo utile come elemento di dissuasione ma descrivere la possibilità che una persona, neanche proprio in età avanzata, possa dover fare i conti con uno stato di demenza presenile o di Alzheimer anche per via di troppo allegre e troppo ripetute bevute di gruppo in lontana gioventù è di sicuro altrettanto utile.