Il Regio decreto del 1923 sembra una norma scritta per fronteggiare le emergenze dei nostri giorni, una norma che con lo scopo di riordinare e riformare la legislazione in materia dei boschi individua le caratteristiche dei terreni sulle quali è limitato e impedito eseguire quelle lavorazioni o attività che possono innescare fenomeni di dissesto del suolo
Il Regio decreto del 1923 sembra una norma scritta per fronteggiare le emergenze dei nostri giorni, una norma che con lo scopo di riordinare e riformare la legislazione in materia dei boschi individua le caratteristiche dei terreni sulle quali è limitato e impedito eseguire quelle lavorazioni o attività che possono innescare fenomeni di dissesto del suolo. È una norma non abrogata e che ha prodotto i suoi effetti per contenere il dissesto idrogeologico per ben novanta anni.
Lo scopo del Regio decreto legislativo 30 dicembre 1923, n. 3267 «Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani» (G.U. 17 maggio 1923, n. 117) si coglie subito dall’enunciazione contenute nell’articolo 1 che introduce il concetto di «Vincolo per scopi idrogeologici» e recita chiaramente che «sono sottoposti a vincolo per scopi idrogeologici i terreni di qualsiasi natura e destinazione che, per effetto di forme di utilizzazione contrastanti con le norme possono con danno pubblico subire denudazioni, perdere la stabilità o turbare il regime delle acque». In questo enunciato ci sono tutti i contenuti essenziali per una gestione moderna del suolo, s’introduce il concetto di vincolo per scopi idrogeologici del territorio associandolo alla denudazione, cioè alla perdita di fertilità, alla perdita di stabilità, cioè ai movimenti franosi, e all’interferenza con il deflusso naturale delle acque superficiali, cioè causare o amplificare gli effetti delle alluvioni. È richiamata la generale natura dei suoli che possono essere rocciosi, sabbiosi o argillosi e senza distinguere la roccia madre che li ha generati (rocce vulcaniche o sedimentarie); una natura che sempre riserva un’intrinseca vulnerabilità talvolta imprevedibile. Indica che nell’applicazione rigorosa non si deve tener conto della destinazione dei suoli, che può essere frutto di scelte di pianificazione condizionate da esigenze temporali. Richiama chiaramente le azioni antropiche che per il loro effetto possono incidere significativamente e negativamente sull’interesse collettivo causando un danno pubblico.
La norma sembra sempre più attuale quando precisa che per i terreni vincolati la trasformazione dei boschi in altre qualità di coltura e la trasformazione di terreni «saldi» in terreni soggetti a periodica lavorazione sono subordinate ad autorizzazione. Per tali terreni sono prescritte le regole dell’utilizzazione dei boschi e del pascolo nei boschi, è precisato le regole di utilizzo dei cespugli aventi funzioni protettive, e quelle dei lavori di dissodamento di terreni saldi e della lavorazione del suolo nei terreni a coltura agraria. In tutti i terreni vincolati l’esercizio del pascolo è soggetto a restrizioni.
Una sensibilità alla tutela del territorio che se applicata e attualizzata nelle procedure ripagherebbe in termini economici, sociali e di tutela della natura in senso di oppressione che un vincolo lascia intendere. Una norma che andrebbe meglio armonizzata con le numerose leggi di settore che sono state varate in questi novanta anni di lunga applicazione. Una norma antica ma attuale che avrebbe bisogno di ridefinizione per facilitare una visione unitaria e globale dell’ambiente, del paesaggio e dell’azione dell’uomo a garanzia della più generale tutelare del suolo.
Di questi argomenti si discuterà il prossimo 23 aprile a Foggia durante un convegno organizzato dalla Sigea Sezione Puglia dal titolo «Il Vincolo Idrogeologico a 90 anni dal Regio Decreto n. 3267/1923: aspettative, sviluppi e problematiche». L’iniziativa organizzata nell’ambito del ciclo «Incontri di primavera: ripartire dalla cultura geologica» si svolgerà presso Sala Azzurra della Camera di Commercio di Foggia.