E l’Amazzonia brucerà

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Il modello, prodotto da un team di ricercatori guidato da Jim Randerson, dell’Università della California, analizza i dati prodotti dal satellite Terra della Nasa, combinandoli ai dati sulla temperatura marina di superficie forniti dal Noaa. Diversi studi hanno dimostrato che le temperature superficiali del Pacifico tropicale e dell’oceano Atlantico, prima ancora dell’arrivo della stagione secca, offrono molte indicazioni sulla severità degli incendi nei mesi successivi

Fuoco sull’Amazzonia. Questo è l’inquietante risultato di uno studio della Nasa che prevede un sostanziale incremento degli incendi nella più grande foresta pluviale del pianeta, rispetto al 2011 e al 2012.
Il modello, prodotto da un team di ricercatori guidato da Jim Randerson, dell’Università della California, analizza i dati prodotti dal satellite Terra della Nasa, combinandoli ai dati sulla temperatura marina di superficie forniti dal Noaa. Diversi studi hanno dimostrato che le temperature superficiali del Pacifico tropicale e dell’oceano Atlantico, prima ancora dell’arrivo della stagione secca, offrono molte indicazioni sulla severità degli incendi nei mesi successivi.
Da marzo in poi, le acque superficiali della fascia settentrionale dell’Atlantico tropicale hanno visto temperature superiori alla media, mentre le temperature dell’Oceano Pacifico si sono drasticamente ridotte nel tardo autunno. Queste condizioni indicano un aumento del rischio di incendi in tutta la regione meridionale del Rio delle Amazzoni, tra la fine estate e l’inizio dell’autunno.
Stati chiave del Brasile, come Mato Grosso e Pará, totalizzano la maggior parte degli incendi della regione amazzonica, e proprio in questi stati nella stagione secca del 2013, il modello prevede il maggior incremento del fenomeno. Un aumento del fenomeno è previsto anche negli stati di Rondônia e Acre, così come nelle province boliviane di Santa Cruz e Pando.
«L’effetto congiunto delle temperature più alte e della sempre maggiore presenza umana in queste aree, aumenta il rischio di incendi», spiega Doug Morton, del Goddard Space Flight Center della Nasa a Greenbelt.
Nel 2012, le condizioni climatiche erano meno favorevoli alla combustione. Temperature superficiali del Pacifico centrale e del Nord Atlantico erano più basse del normale, e hanno assicurato un aumento delle precipitazioni in tutta l’Amazzonia meridionale nei mesi precedenti alla stagione degli incendi, all’opposto del 1997 e del 1998, quando le acque superficiali calde dell’Oceano Pacifico, causate dal fenomeno El Niño, avevano le piogge verso nord, lasciando a secco e in balia degli incendi il sud-est dell’Amazzonia.
«Il fenomeno El Niño, nel 1997-’98, ha coinciso con il picco degli incendi nell’Amazzonia, e mostra bene l’impatto della deforestazione e del degrado delle foreste tropicali causato da attività umane».
Approfondendo le osservazioni nelle successive stagioni di incendi nel 2005, 2007 e 2010, il team ha sviluppato un modello in grado di anticipare la gravità degli incendi nella stagione secca. Morton ha incontrato i ministri di Brasile e Perù affinché il modello venga utilizzato per mettere in campo in anticipo afficaci misure di prevenzione.