Operare sotto ipnosi si può (ma non tutti)

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Probabilmente questa sarà l’ennesima occasione in cui sarà bene prevedere scelte molto personalizzate che, come abiti cuciti addosso a quello specifico paziente che abbiamo di fronte, danno (o possono dare) risposte positive solo se e quando utilizzate sulle persone giuste. L’ennesima sfida che la scienza ci pone in nome di una medicina che sia capace di confrontarsi davvero con l’Uomo

Una trentina di anni fa, appena laureato in medicina, ebbi modo di assistere, su consiglio di alcuni docenti universitari dell’Ateneo di Bologna, ad una «seduta» di anestesiologia che all’inizio apparve a tutti i presenti un po’ bizzarra ma che man mano che procedeva ci affascinava sempre più sino a lasciarci quasi senza parole.
Un esperto in ipnosi, accompagnato dal primario di anestesiologia del Policlinico e da alcuni chirurghi, ci illustrò con dovizia e chiarezza le modalità con le quali era possibile indurre in alcuni soggetti una condizione di anestesia di grado profondo ricorrendo alle sole arti dell’ipnosi.
Alcune persone, scelte a caso o su propria proposta, venivano sottoposte ad un procedimento graduale che partendo dalla ripetizione quasi «musicata» di una serie di parole, frasi, cantilene cadenzate dall’ipnologo portavano pian piano al passaggio ad uno stato di incoscienza e di forte riduzione della sensibilità generale. Il risultato fu straordinario ed anche «teatralmente» efficace , concludendosi con un medico che utilizzava aghi e calore per verificare il grado di insensibilità al dolore (il paziente era semincosciente) e con il primario dell’anestesiologia che ci spiegava che con quel tipo di analgesia si sarebbe potuto effettuare un intervento chirurgico di non elevata complessità.
Tutti conoscevamo l’ipnosi e quanto su di essa si era scritto ed ipotizzato però confesso che veder passare alcune persone da uno stato di normalità ad uno che (con una temporanea perdita di sensibilità) consentiva la sopportazione di quel tipo di dolore era un bel colpo di teatro. L’ovvia domanda finale era «perché no?» ovvero perché non provare a studiare l’applicazione pratica di quel tipo di anestesia nella routine medica e nella pratica chirurgica?
La riduzione di farmaci ai pazienti, la possibilità di diminuire le complicazioni degli interventi, l’eliminazione di conseguenze per pazienti allergici a prodotti utilizzati per indurre l’anestesia ci sembravano gli immediati vantaggi per una scelta che aveva in sé qualcosa di molto attraente. Ci veniva spiegato però che non tutti sono ugualmente responsivi alle procedure di induzione ipnotica e che si tratta(va) di un grado di anestesia utile elettivamente per una chirurgia veloce e non troppo complessa. Rimanemmo comunque suggestionati (è il caso di dirlo) e speranzosi rispetto a questo tipo di originale approccio alle problematiche chirurgiche ed anestesiologiche.

La notizia di questi giorni secondo cui una paziente ipersensibile agli anestetici è stata sottoposta ad asportazione di un tumore della pelle rimanendo «addormentata» ed anestetizzata dopo un procedimento di ipnosi mi ha riportato alla memoria quell’episodio e tutto il carico di curiosa speranza che condividevamo con i presenti in quell’aula universitaria. È una di quelle notizie che forse non cambia il corso della storia della medicina (di ipnosi si è scritto e riscritto in tutte le salse) ma che ci lascia sempre affascinati sui misteri della mente e sulle possibilità di conoscerli sino in fondo.
La donna, di 42 anni ed affetta da una forma assai importante di allergia a farmaci compresi gli anestetici, ha avuto necessità di sottoporsi a Padova all’asportazione di un tumore della pelle nella zona della coscia e la scelta di praticare l’intervento in stato di sedazione ipnotica si è resa necessaria per salvaguardarla da effetti collaterali rilevanti.
L’operazione, eseguita sotto la guida del prof. Enrico Facco, docente di Anestesiologia e Rianimazione del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Padova, ha previsto un’ampia escissione della zona della coscia in cui era presente il tumore con la conservazione della fascia profonda. Normali sono rimasti i parametri relativi alla pressione arteriosa ed alla frequenza cardiaca e dopo l’escissione non vi sono state complicanze di sorta: la paziente, quando si è ripresa dallo stato di ipnosi in cui si trovava, ha detto di non aver avuto percezione di dolore durante l’asportazione del tumore ed è stata dimessa rapidamente.

Un metodo non per tutti

Questo tipo di notizie, come dicevamo, ci stimola a chiederci quante altre possibilità di intervento possano esserci rispetto a manovre compiute sul corpo umano (per non parlare di cervello!) e quanto sia importante chiedersi in ogni momento se e come possa ridursi l’impatto (anche farmacologico) sulla vita dei malati.

Le esperienze di attività chirurgica sotto ipnosi di certo affascinano e spingono a ricercare sempre altre strade, senza però dimenticare alcuni passaggi rilevanti che guidano queste «nuove» scelte. Si è visto ad esempio che non tutti rispondono alle tecniche ipnotiche allo stesso modo: si deve quindi poter scegliere il paziente prima di decidersi se e come utilizzare quest’arma per gestire la fase di «addormentamento» operatorio. Così come si è visto che il livello di anestesia che si raggiunge è sufficiente per alcuni tipi di interventi (per così dire un po’ meno impegnativi) ma potrebbe non esserlo per atti chirurgici più complessi o più duraturi. Bisognerà insomma continuare a studiare e provare. Bisognerà soprattutto comprendere quale tipologia di pazienti è più facilmente «aggredibile» da una procedura più soft quale sembra essere l’ipnosi. Probabilmente questa sarà l’ennesima occasione in cui sarà bene prevedere scelte molto personalizzate che, come abiti cuciti addosso a quello specifico paziente che abbiamo di fronte, danno (o possono dare) risposte positive solo se e quando utilizzate sulle persone giuste. L’ennesima sfida che la scienza ci pone in nome di una medicina che sia capace di confrontarsi davvero con l’Uomo.