Non solo questo è stato reso politicamente possibile ma recentemente vi è stato un ulteriore parziale cambiamento di indirizzo oltre che miglioramento del concetto di «qualità». L’approccio elaborato dai Comitati internazionali Iso per la qualità ha definito il nuovo «Sistema di Gestione per la Qualità» secondo lo standard Iso 9001: 2008 per tutti i sistemi complessi e quindi anche per le centrali nucleari.
Questa posizione ben si inserisce nella antica tradizione di qualità italiana che affonda le radici in analisi e studi statistici affrontati in Italia agli inizi del diciannovesimo secolo da matematici-statistici italiani come De Finetti ed altri.
Questo stato di cose ha generato il paradosso che, dalla frustrata volontà di partecipazione a progetti nucleari remunerativi per il nostro Paese, sia per l’aspetto economico energetico, sia per l’acquisizione di know how professionale, vi sono ora alcune frange di ricercatori e scienziati italiani che, per ragioni di mancato riconoscimento di competenza e di capacità di progettazione generali, sono tentate di opporsi al ritorno al «nucleare».
Gli aspetti evidenziati non debbono essere sottovalutati nelle decisioni di scelta energetica da parte delle commissioni politiche implicate nei vari settori di competenza.
A tal riguardo, la scienza e la tecnologia potranno fornire molte risposte concrete, che da sole però non bastano. Tuttavia, per la sicurezza e garanzia di buona informazione, dovranno essere messe in campo altre discipline come la sociologia e la politica energetica. Di fatto, in questo contesto diventa ormai indispensabile un’informazione chiara, completa e corretta; informazione che nel nostro Paese manca o addirittura è distorta dal fanatismo distruttivo di coloro che sono contrari ad ogni innovazione tecnologica–culturale migliorativa del contesto sociale del nostro Paese.
Come risultato dell’ultimo referendum antinucleare, è stata abolita la Agenzia per la Sicurezza Nucleare con effetti negativi anche in campo biologico nucleare.
Dal punto di vista della sicurezza (safety) degli impianti nucleari, inesistenti, si osservano quindi decisioni errate o almeno di orientamenti irrazionali. Questo modo di procedere non può che condurre ad ulteriore insicurezza e sfiducia nel sentire della gente comune. Se poi si aggiunge anche la insufficiente informazione propinata, negli ultimi decenni, da quasi tutte le emittenti televisive, lo scopo del rifiuto di una bassa percentuale di produzione di energia da fonte nucleare è raggiunto in modo completo. Come fa dire Shakespeare ad Amleto: «Si preferisce sopportare i mali che abbiamo anziché rischiare quelli che non conosciamo». E il gioco è fatto…
Come ulteriore esempio di cattiva informazione o disinformazione ad arte (Si veda Fig. N° 1) appare il caso di ricordare alcuni punti basilari:
1. In Italia, in media ogni mese muoiono almeno 50 persone lungo le autostrade a causa di incidenti stradali o fenomeni similari. Purtroppo, però sembra un fenomeno accettato di cui si parla solo qualche secondo durante il fine settimana osservando le relative trasmissioni televisive. Invece, nel caso dei primi 50 morti dell’incidente di Chernobyl se ne è parlato e si continua a parlare da almeno 20 anni (senza conteggiare in questo paragone i morti successivi cumulativi negli anni che vanno paragonati ai morti che si assommano mensilmente e annualmente per incidenti stradali negli anni). In questi quasi 25 anni dal disastro di Chernobyl la numerosità dei morti è certamente inferiore a quella prodotta da incidenti stradali e dalla cancerogenesi prodotta dall’inquinamento cittadino (ad es. Roma). Ma di Chernobyl si parla sempre mentre dei morti per cancerogenesi standard a Roma non si discute mai: sono semplicemente accettati e basta.
2. L’esempio di Fukushima: durante le prime ore dall’evento dello tsunami-maremoto e terremoto, le televisioni italiane facevano vedere tutti i tipi possibili ed immaginabili di disastri (case che cadevano, ponti che cadevano, palazzi che rovinavano, treni che deragliavano, navi che affondavano, autostrade divelte e interrotte ecc.). Mentre tutto ciò accadeva i presentatori riportavano i calcoli approssimati dei morti e dei dispersi. Quando lo tsunami era ormai placato, i presentatori televisivi parlavano di circa 20.000 (ventimila) morti e circa 10.000 (diecimila dispersi). Mentre tutto ciò accadeva in particolare un presentatore televisivo continuava a mostrare le centrali nucleari, che non erano cadute ma erano gli unici palazzi rimasti in piedi, e impaurivano la gente prevedendo decine di migliaia di morti a causa della radioattività. La cattiveria, la ignoranza, la cattiva fede e, forse, solo la stupidità di tali presentatori aveva ed ha avuto un enorme effetto negativo nella costruzione della informazione mediatica del popolo italiano. Negli ultimi anni, alcune decine di gruppi di ricercatori e fisici (provenienti da tutte le parti del mondo) sono stati sistematicamente presso le centrali nucleari di Fukushima monitorizzando lo stato di radioattività. Al momento, le autorità giapponesi hanno concesso ai giapponesi di mangiare frutti (patate ecc.) alle persone che continuano a vivere abbastanza vicino alle Centrali. Non bastante ciò, le Autorità hanno deciso negli ultimi giorni di procedere a riattivare ed aggiornare le centrali nucleari di Fukushima.
Non si è parlato fino ad ora della sicurezza nucleare in tempo di guerra, ossia di esplosione di ordigni nucleari. A tale riguardo si fa notare la discrepanza, la mancanza di conoscenza e la cattiva informazione esibita oggi. Ad esempio, recentemente, su Rai News, un giornalista, ha incautamente paragonato gli effetti della prima bomba atomica esplosa dagli americani a Hiroshima alle ore 8,16 del 6 agosto 1945 in condizioni di guerra con gli effetti dell’incidente nucleare accaduto a Fukushima. È stato certamente un grave atto di disinformazione. È del tutto evidente, infatti, che la sicurezza in tempo di pace è completamente diversa dalla sicurezza in tempo di guerra.