L’emergenza è globale

622
foto di Pina Catino
Tempo di lettura: 3 minuti

Dispersi dietro mille rivoli di crisi locali e mondiali l’uomo ha perso di vista l’unica emergenza che sta mettendo in crisi la nostra stessa esistenza: quella ambientale. Dimenticarla, ignorarla o lasciarsi anestetizzare dagli interessi delle lobby economiche non risolverà i problemi

È on line il nuovo numero del nostro trimestrale dedicato alla «Sicurezza». Proponiamo l’Editoriale e invitiamo a leggere e commentare i vari articoli che toccano aspetti fondamentali della nostra vita.

 

Quando si parla di sicurezza, la mente va a ciò che comunemente si associa alla sicurezza: stradale, sanitaria, personale, lavoro ecc. Ma questo avviene comunemente con qualsiasi argomento. I lettori di «Villaggio Globale» sanno che da sempre noi andiamo oltre, nel tentativo di coinvolgere nel ragionamento i nostri stili di vita legati all’ambiente, convinti come siamo che l’ambiente è l’ultima spiaggia per tentare di ricostruire quel filo conduttore che ha forgiato la nostra cultura e l’integralità del nostro essere uomini.
La sicurezza, quindi.
In gioco non è una parte di noi o alcuni aspetti dei nostri stili di vita o del vivere quotidiano ma la nostra esistenza come specie. Possiamo ben costruire un sistema sicuro e forgiare la società come un collegio d’altri tempi ed avere il senso dell’ordine e della disciplina… in gioco non è questo. Ma ben altro.
Se continuiamo a dividere l’esistenza del pianeta dalla nostra mettiamo tragicamente in forse la nostra esistenza.
E non potrà aiutarci né la tecnologia né una fantasiosa agricoltura arroccata in strutture fantascientifiche perché staremo costruendo un mondo altro che sarà sempre più un corpo estraneo sul pianeta. E l’alterità, quando è fuori dalle regole di base del sistema in cui è nata e si è sviluppata, genera mostri.

Fino a quando non si risolveranno i problemi di fondo della nostra esistenza e fino a quando l’uomo penserà di fare a meno del suo legame con la natura noi staremo sempre in emergenza e sempre dietro i problemi della sicurezza.
La sicurezza è poter vivere in un mondo stabile, dove le stagioni sono stagioni e l’avvicendarsi climatico segna il tempo. Se noi vogliamo le ciliege a dicembre e non ci rendiamo conto che nella nostra nazione non ce ne sono, mettiamo in moto un meccanismo di marketing e di spostamento di risorse che coinvolge il pianeta. Moltiplicate questi comportamenti in tutti i campi in cui si è complessificata la vita dell’uomo moderno e si intuisce facilmente che cosa noi abbiamo messo in moto.

È inutile tirar fuori vecchie battute trite e ritrite del tipo «ritorno alle caverne» o «alle candele». Con le battute siamo tutti bravi, è quando ci si confronta con i problemi reali che dovremmo mostrare la nostra sagacia.
Quella montagna di plastica che è diventata un’isola grande quanto il Texas nell’oceano Pacifico, prevista dagli studiosi sin dagli anni 90, è un monumento alla nostra imbecillità.
E che dire dei dotti dibattiti per convincere i cittadini che mai e poi mai l’energia tratta dalle fonti rinnovabili sostituirà quella delle fonti non rinnovabili?
E le resistenze (i governanti ancora non si decidono a modificare i capitolati d’appalto) per costruire abitazioni che fanno a meno di riscaldamenti e raffrescanti? Ormai ci sono interi quartieri che sorgono con queste caratteristiche.

Si potrebbe continuare a lungo a descrivere le incongruenze di questo mondo che per chi è ammanigliato, con lobby o loschi affari, stigmatizza i «critici» come… visionari.
Ma il problema è nostro perché siamo capaci a manifestare per qualsiasi cosa ma non per la nostra sicurezza. Contro quel groviglio di leggi e interessi che ci rende insicuri in casa nostra, il nostro pianeta, e pensiamo di aver risolto tutto con un tablet e un condizionatore e non ci rendiamo conto che ci stiamo scavando la fossa con le nostre mani.

Ci avvitiamo in discussioni sul nucleare che è arcisicuro e non fa meno danni dell’inquinamento atmosferico, sui mali intrinsechi del lavorare in una fonderia come anni fa lo era il lavorare in miniera. Accettare l’ineluttabilità dei mali legati al progresso quando basterebbe girare la testa al passato e comprendere l’inutilità di quei sacrifici a fronte del poco progresso raggiunto.
I sostenitori di questa tesi pro-progresso, avrebbero ragione se oggi non esistessero popoli affamati o alle prese con malattie banali, se esistessero meno poveri e si puntasse verso un benessere diffuso, se ci fossero meno guerre e più scambi culturali… invece niente di tutto questo. Allora di che parliamo? I servi della gleba, gli schiavi, i proletari… devono essere ancora presi in giro per consentire alle classi dominanti di continuare ad esserlo?
Il gioco non funziona più. È stato messo in crisi il sistema esistenziale del pianeta. La Terra non è più sicura per i suoi abitanti, noi abbiamo rotto l’equilibrio fondato sul rapporto uomo-natura. E la natura, che certamente sopravviverà a noi, ci sta presentando il conto. È così difficile da capire?
Se ancora coloro che stanno bloccando il vero progresso (siano loro ricchi o malavitosi), moriranno nei loro letti dorati sono proprio sicuri che sarò lo stesso per i loro figli?