Sono state ignorate ben tre normative: il Regolamento Regionale 28/2008 sulle Zps, qual è l’area della Gravina di Castellaneta; il Piano di Gestione della Zps «Area delle Gravine» approvato con DGR n. 2435 del 15 dicembre 2009 e le norme del Parco regionale «Terra delle Gravine». Non si è trattato di una semplice passeggiata funambolica, ma del non rispetto delle leggi create proprio per tutelare la natura dei Parchi naturali e non per garantirne la trasformazione in parchi divertimenti
Ho ricevuto in questi giorni molte lettere di sostegno per la battaglia contro la trasformazione del Parco naturale regionale «Terra delle Gravine» in un parco divertimenti (tra cui quelle della Regione Puglia, del Wwf e della Lipu). Altre, invece, con toni che andavano dal moderato all’inferocito, hanno tentato con ogni mezzo di sminuire il problema.
Tra queste ultime, le motivazioni addotte per giustificare l’esibizione di domenica presso la Gravina di Castellaneta sono state ricorrenti e in molti hanno posto i medesimi interrogativi.
La domanda più gettonata, soprattutto dai giornalisti e dai tanti opinionisti per passione che passano le giornate a commentare sui social-network, è stata: «Ci verrebbe da chiedere dove fossero tutti gli ambientalisti e difensori del paesaggio quando le Ferrovie dello Stato hanno costruito il ponte davanti Palagianello?».
Rilevo due aspetti ricorrenti in questa domanda. La definizione di ambientalista non dovrebbe etichettare una limitata élite di attivisti, ricercatori, intellettuali, etc. ma essere caratteristica tipica di ogni essere umano. Proprio perché ambiente deriva dal latino ambire cioè «andare intorno, circondare» e l’ambientalismo è definibile come «Teoria psicologica che assegna all’ambiente un’importanza primaria nella determinazione dei comportamenti umani e animali», ogni singolo cittadino con l’esigenza di andare intorno alla sua dimora e in grado di riconoscere l’importanza primaria di questo comportamento nella sua esistenza dovrebbe essere «un ambientalista». Quindi la domanda andrebbe riformulata nel modo seguente: «Dov’erano tutti i cittadini, difensori del paesaggio, quando… etc.». Coloro che vengono etichettati ingiustificatamente con l’appellativo «ambientalista», comunque, tra le frasi che sono soliti sentirsi ripetere, dopo «siete dei terroristi e dei talebani» c’è «voi dov’eravate quando…». Ad ogni modo, incollandomi l’etichetta, che come detto ognuno dovrebbe far propria, rispondo alla domanda nel merito.
Come è possibile riscontrare dal sito della ditta costruttrice Impregilo i lavori di realizzazione del Ponte Santa Lucia sulla Gravina di Castellaneta, per il raddoppio della linea ferroviaria Bari-Taranto, sono stati condotti in un periodo di tempo che va da Novembre 1984 a Giugno 1998. Mi spiace che l’inizio dei lavori sia coinciso con il mio nono mese di vita e che, evidentemente, in quelle condizioni, pur essendo sicuramente irrorato in me liquido verde simil-linfa e non emoglobina, non avessi alcuna possibilità di oppormi al progetto. Né la cosa è stata possibile per i successivi 14 anni di lavori, poiché al termine delle scuole elementari la propria etichetta ambientalista si limita agli album con le figurine degli animali.
Certamente, se simili progetti fossero proposti adesso mi batterei con ogni mezzo per comprenderne l’impatto e cercare soluzioni alternative. Mi risulta, però, che esistevano all’epoca molte associazioni ambientaliste in zona, soprattutto a Castellaneta, e non so cos’abbiano fatto in merito. Purtroppo, ognuno agisce in base alle proprie convinzioni e al proprio codice etico.
Sgombrato il campo dai dubbi su dove io e «i nostri» fossimo all’epoca (in una culla probabilmente), mi verrebbe da chiedere sulla base della constatazione etimologica del termine sopra illustrata dove fossero i giornalisti o i cittadini di Castellaneta che all’epoca avevano l’età giusta per intervenire? Ma in questo modo farei il gioco, molto in voga tra politici e giornalisti, di chi per difendersi attacca e per sviare l’attenzione dell’opinione pubblica sui problemi reali e attuali, ne ripesca altri risalenti al ventennio precedente.
Il secondo quesito che mi è stato ripetutamente posto è: come può una traversata di pochi minuti mettere a repentaglio tutto l’ecosistema della gravina?
Il problema è epistemologico. Non si tratta di definire cosa ha distrutto una traversata di pochi minuti, ma di cosa ha creato.
Stando alle parole dell’ex presidente del Parco nazionale dell’Alta Murgia, nonché avvocato: «Anche nel Parco nazionale dell’Alta Murgia vi sono state richieste similari che fortunatamente sono state rigettate per le conseguenze che avrebbero prodotto sull’ambiente protetto. È strano che a pochi chilometri di distanza possa esserci qualcuno che valuti differentemente la medesima attività». Questo singolo episodio, infatti, rischia di diventare un precedente nella giurisprudenza che andrebbe a ledere ogni parco regionale e nazionale, poiché qualunque gruppo di amici, a questo punto, potrebbe decidere di lanciarsi in parapendio dalla vetta del Pollino, nell’omonimo parco o di scendere in slittino lungo la camosciara, nel PN d’Abruzzo o fissare teleferiche sulle vette del Parco nazionale della Maiella, per farci passare molisani appesi.
Nelle foto, Roberto Cazzolla Gatti ha ripreso il volo delle cicogne nere. Le foto sono state scattata quest’estate presso la Gravina di Castellaneta durante il secondo avvistamento di una coppia di cicogna nera in Puglia.
Nel caso in questione, in particolare, sono state ignorate ben tre normative: il Regolamento Regionale 28/2008 sulle Zps, qual è l’area della Gravina di Castellaneta; il Piano di Gestione della Zps «Area delle Gravine» approvato con DGR n. 2435 del 15 dicembre 2009 e le norme del Parco regionale «Terra delle Gravine».
Iniziative come quella della Pro Loco di Castellaneta e del Gruppo speleologico Gasp! di Gioia del Colle potevano essere autorizzate dal Parco previa presentazione di un progetto, ma l’apposizione di una fune permanente non può essere mai autorizzata. In questo caso, se si trattasse di apposizione temporanea questa poteva essere autorizzata dall’Autorità di gestione del sito Zps Area delle Gravine, nella figura dell’Ufficio Parchi della Regione. Ma questo non è avvenuto, poiché l’ufficio neanche era stato informato dell’iniziativa.
Inoltre, l’arrampicata in questo periodo dell’anno poteva essere svolta, ma solo su pareti già attrezzate e non poteva essere consentito nessun nuovo attrezzamento.
Non si tratta, dunque, di una semplice passeggiata funambolica, ma del non rispetto delle leggi create proprio per tutelare la natura dei Parchi naturali e non per garantirne la trasformazione in parchi divertimenti. Inoltre, il problema principale è che quest’iniziativa è stata ufficialmente presentata come il preludio di una serie di progetti simili (teleferiche, arrampicate, etc.) che andrebbero a disturbare il già vulnerabile ecosistema della gravina. Questo non significa fermare qualunque progetto in proposito, ma indirizzare verso quelli giusti (rete escursionistica, visite guidate, limitazione degli accessi durante i periodi di nidificazione, etc.) per il tipo di ambiente in cui vanno a inserirsi.
Concludo, ponendo io, stavolta, due domande: considerato che si è parlato tanto d’iniziativa volta a sensibilizzare l’opinione pubblica, sapreste dirmi quale sensibilità possa essere nata nella gente e negli studenti che hanno assistito domenica al passaggio su corda di una speleologa, molto più simile a una circense, che è rimasta appesa per parecchi minuti al centro di una fune nel vuoto, per poi giungere sulla parete opposta accolta dall’infernale schiamazzo del pubblico? Quale sarebbe il beneficio per il Parco regionale e per la gravina di Castellaneta derivante da una simile impresa esibizionistica?
Nessuno può arrogarsi il diritto di professare il verbo, persino «gli ambientalisti», ma una certezza c’è: «Una cosa è giusta quando tende a preservare l’integrità e la bellezza della comunità biotica nel suo complesso. Una cosa è sbagliata quando manifesta la tendenza contraria» [Aldo Leopold].
In questo caso… è certamente sbagliata!