Come per i farmaci è da escludere l’autoprescrizione. La fiducia quasi cieca verso le più diverse varietà vegetali, unitamente alla qualità troppo spesso assai scarsa delle informazioni che vengono veicolate attraverso il web e che esaltano gli effetti delle più disparate varietà vegetali per gli usi quotidiani (o anche saltuari) sta determinando un picco di problemi tossici e allergici
L’acquisto ed il consumo di prodotti di erboristeria è in grande aumento sull’onda di una giusta spinta salutista che cerca di dirigere l’acquirente verso soluzioni e rimedi che abbiano una genuinità, una efficacia ed una caratterizzazione diverse da quella rappresentata da articoli e da farmaci di provenienza «artificiale» ai quali non si riconoscono le stesse proprietà.
La scelta di mangiare naturale, vestire naturale, curarsi in modo naturale ha goduto e sta godendo di favori crescenti in un mercato che percepisce l’intervento dell’industria come elemento di disturbo rispetto alla «bontà» di ciò che, provenendo dalla terra tout court, pare essere automaticamente esente da rischi e da problemi. Quello che, quindi, è «erba», ad esempio viene accostato, nell’immaginario collettivo, con quanto di meglio e di più puro possa essere utilizzato per le mille esigenze quotidiane, dalle più semplici e banali a quelle più delicate e complesse.
È bene però che nell’accostarsi all’acquisto ed all’utilizzo di prodotti di erboristeria si sia consapevoli che esistono limiti o veri e propri rischi che possono determinare gravi problemi e complicanze non di poco conto, come reazioni tossiche ed inaspettate allergie.
Lo hanno recentemente sottolineato anche gli allergologi della Società italiana di allergologia ed immunologia che hanno segnalato il costante e rilevante aumento di reazioni allergiche o avverse dovute all’uso di prodotti di erboristeria dei quali si è fatto uso per gli scopi più diversi.
La fiducia quasi cieca verso le più diverse varietà vegetali, unitamente alla qualità troppo spesso assai scarsa delle informazioni che vengono veicolate attraverso il web e che esaltano gli effetti delle più disparate varietà vegetali per gli usi quotidiani (o anche saltuari) sta determinando un picco di problemi, aggravati dall’attitudine ad una sorta di autoprescrizione che prescinde dalla conoscenza dei principi chimici che pure sono contenuti (a volte in quantità assai concentrata) nelle erbe vendute negli scaffali dei negozi o raccolte direttamente nei campi.
Il rischio reale è quello di avere a che fare con erbe di cui non si conosca bene la composizione o di cui non è nota la concentrazione dei principi contenuti, oltre alla possibilità di usare vegetali nei quali siano presenti metalli pesanti o pesticidi o altri principi chimici che, con un uso ripetuto o in alte singole dosi, possono rappresentare un vero pericolo per la salute dei consumatori.
Da un lato, quindi, inaspettate allergie dall’altro veri e propri avvelenamenti si stanno verificando con allarmante frequenza, entrando così nel campo di interesse di quanti temono che ad una esigenza giusta e comprensibile vada ad affiancarsi e sovrapporsi un approccio superficiale o non sufficientemente corretto ed «educato».
Gli anziani sono più a rischio, per via della maggiore delicatezza biologica del proprio organismo, mentre le maggiori consumatrici (con maggiore probabilità di esposizione ai pericoli) sono le donne, più interessate a raccogliere l’offerta di consumi più «naturali» e «genuini».
Purtroppo gli standard di qualità e sicurezza di tali prodotti non sono sempre di grado elevatissimo e se la fascinazione legata ad una sorta di ritorno alla terra rimane culturalmente assai seducente non sempre si può dire che le metodologie di gestione di ciò che si propone o si vende riesce a soddisfare quell’esigenza di qualità che pure, quando si ha a che fare con la salute, rimane un vincolo imprescindibile. Inoltre è stato segnalato il rischio di interazioni fra terapie tradizionali magari in atto in pazienti con problematiche croniche o con affezioni neoplastiche e prodotti di erboristeria a volte consumati o associati senza quell’appropriatezza che sempre deve essere presente quando si maneggiano principi chimici veicolati anche con prodotti della terra.
Fra le erbe sotto accusa: la Cimicifuga racemosa, che viene utilizzata spesso per ridurre i disturbi legati alla menopausa, ma che è stata imputata di determinare danni al fegato ed alle cellule muscolari, l’Hypericum perforatum (Erba di San Giovanni), usata per le condizioni depressive ma che può entrare in competizione con i farmaci antidepressivi causando peggioramento del quadro clinico, il Citrus aurantium, il comune arancio amaro, dotato di potenziale tossicità cardiaca, ed il Piper methysticum, conosciuto anche come Kava, usato per gli effetti afrodisiaci ed euforizzanti, anch’esso epatolesivo ed epatotossico. In realtà l’elenco è molto più lungo e richiederebbe un approccio maggiormente attento specialmente da parte di consumatori occasionali non bene a conoscenza delle conseguenze che un uso inappropriato di queste erbe può determinare in breve, medio o lungo periodo.
È necessario, quindi, prevedere e realizzare campagne di informazione e di educazione all’uso di tali prodotti, sensibilizzando maggiormente i consumatori e coinvolgendo i rivenditori e gli opinion leader. Non basta essere erbe per poter essere benefiche: una precauzione in più, ancora una volta, fornisce garanzie e determina sicurezza.