Recenti studi condotti a Napoli su donne seguite dai centri di ginecologia per effettuare interruzioni volontarie di gravidanza per motivazioni di tipo terapeutico hanno permesso di approfondire la possibilità che si inneschino danni al DNA per via della esposizione a sostanze, acque, cibo ed aria provenienti da discariche oggetto di continui e ripetuti depositi illegali
Le dichiarazioni dei pentiti campani e le notizie di queste ore su un forte coinvolgimento di tutta l’area del napoletano in merito allo sversamento costante e rilevante di rifiuti tossico nocivi in discariche abusive situate nelle zone più impensabili del Sud (ma non solo di quello) pongono ancora una volta il problema della conoscenza e delle valutazioni sugli effetti biologici dell’interramento illegale di sostanze chimiche sulle popolazioni coinvolte.
La mappatura infinita delle località interessate a questo processo criminoso (resa ancora più devastante dalle ammissioni degli Schiavone), la consapevolezza che affiora con sempre maggiore evidenza che gli interramenti hanno riguardato anche materiali radioattivi ed infine le recentissime segnalazioni de l’«Espresso» secondo cui fonti del comando americano a Napoli hanno rilevato importantissime condizioni di inquinamento in acque, fumi, terreni e cibo in una vastissima area attorno alla città ed in tutto il Napoletano per oltre mille km quadrati con la conclusione che anche bere acqua in quelle zone diventa pericoloso, ripropongono la necessità di saperne di più sulle reali conseguenze dell’impatto di quei veleni sugli uomini, le donne, gli anziani ed i bambini costretti a vivere fra le scorie.
Mentre riteniamo che sia assolutamente fuori logica tentare di minimizzare le notizie e nasconderle sotto una coltre di distinguo e precisazioni che non produrrebbero altro se non nuovi e più perduranti pericoli (la richiesta di alcuni consiglieri regionali della Campania di sequestrare l’«Espresso» in edicola da oggi è sostanzialmente figlia della stessa logica che per decenni ha impedito di vedere ciò che andava succedendo sotto gli occhi di tutti) ha molto più senso cominciare una vera azione di recupero di dati ed un monitoraggio serio di quello che sta succedendo alla salute dei campani coinvolti in questa storia di malaffare ed omertà.
Non è certo appellandosi al sole ed al mare, alla presunta bontà dei prodotti della terra ed alla «tradizionale» vocazione alla produzione tipica (che non devono mai e poi mai essere sfiorate dal dubbio sulla qualità e la provenienza) che si combatte una guerra in direzione della reale difesa della pelle dei cittadini, napoletani e no.
Anche perché le evidenze a carico di quei rifiuti interrati e delle conseguenze che determinano sull’uomo si arricchiscono, purtroppo, ogni giorno di nuovi e sconvolgenti particolari che dovrebbero far tremare i polsi a chi invece tende sempre a ridurre al minimo il senso di ciò che è accaduto e probabilmente ancora accade in buona parte dell’Italia meridionale.
Una delle ultime scoperte scientifiche in tema di rapporto fra organismi viventi e scorie tossiche nelle discariche incontrollate, ad esempio, riguarda un aspetto assolutamente prioritario nella vicenda biologica di chi è costretto a bere quell’acqua, respirare quell’aria, mangiare quei prodotti che risultano contaminati dai rifiuti tossici provenendo da zone limitrofe alle discariche abusive che costellano la Campania.
Recenti studi condotti a Napoli su donne seguite dai centri di ginecologia per effettuare interruzioni volontarie di gravidanza per motivazioni di tipo terapeutico hanno permesso di approfondire la possibilità che si inneschino danni al DNA per via della esposizione a sostanze, acque, cibo ed aria provenienti da discariche oggetto di continui e ripetuti depositi illegali di sostanze ignote. E i dati raccolti hanno impietosamente evidenziato che man mano che la provenienza delle donne si avvicinava alle aree più degradate e più inquinate maggiori e più evidenti si facevano i rilievi di danni ai telomeri del DNA delle pazienti rispetto a donne che invece e fortunatamente si erano trovate a vivere in zone meno soggette a quel tipo di inquinamento. La cosa ha una rilevanza di primo piano perché il danno rilevato e misurato è risultato consistere in un evidente accorciamento dei telomeri (che costituiscono le sequenze di DNA al termine dei cromosomi e che svolgono un’importante funzione di regolazione dell’attività cromosomica ed il cui accorciamento sembrerebbe dovuto allo stress ossidativo causato dalle sostanze inquinanti).
La significativa correlazione fra esposizione a sostanze tossico-nocive depositate nel terreno e penetrate nella catena biologica della maggioranza delle pazienti studiate e stress ossidativo (con conseguenze anche sul DNA ed in particolare sui loro telomeri) pare accertato e merita approfondimenti sia per ciò che concerne le conseguenze sulla vita delle donne affette da questa modificazione sia sulla possibilità che tali modificazioni possano in qualche modo essere avviate ad una trasmissione genetica nelle generazioni successive. Il triangolo della morte (l’area fra Acerra, Nola e Marigliano, cioè, e i mille triangoli della morte disseminati in Campania e nel Sud) porterebbero in dote un ulteriore elemento di inquietante offesa alla salute ed alla vita stessa di chi ci abita anche sotto forma di modificazione dei più intimi meccanismi di replicazione dell’esistenza, sia procurando un invecchiamento precoce delle cellule sia lacerando i procedimenti più profondi della replicazione biologica.
Molto c’è ancora da sapere e da capire su quanto è accaduto nei luoghi dello scempio della legalità e della salute. L’evidenza che i danni non siano solo passeggeri e superficiali è sempre più forte e ci impone di affrontare questi temi con la massima attenzione. L’unico atteggiamento che non ha senso è quello di negare e minimizzare, tacere e sopire, in nome della più stupida ed ipocrita prudenza oppure in allarmante coerenza con quegli sporchi interessi che hanno determinato il saccheggio sistematico e la speculazione selvaggia.