La qualità, che interessa in modo specifico gli esseri umani, è un valore dinamico che può emergere dalle loro riflessione, dalle loro valutazione sulle finalità e obiettivi di una loro scelta personale o condivisa, da un cambiamento che migliora la capacità di interpretare l’orientamento vitale dei fenomeni naturali, che crea sinergie, che offre le opportunità di sfruttare le peculiarità umane per indagare le loro aspirazioni più profonde, per condividerle senza pregiudizi e poter, così, costruire, provare, verificare, valutare e ristrutturare, in itinere, progetti di vita. Ma l’uomo può fare riferimento anche a visioni acritiche e di senso comune, la qualità, in questo caso, può assumere aspetti alterati: può presentarsi come una proprietà strumentale e statica delle cose, può perdere quel valore umano che orienta verso un miglioramento dinamico nella prospettiva di rispondere alle aspirazioni più profonde dell’uomo e di renderle fattibili in un contesto di fertili relazioni sociali.
Se riflettiamo, non dovremmo avere difficoltà a riconoscere, oggi, un modo di vivere che non solo si limita a osservare con indifferenza cose e fenomeni che incidono, però, sulla tenuta degli equilibri ambientali (senza trarne, quindi, valutazioni e significati che possono prevenire gli effetti negativi degli impatti generati), ma che pretende, poi, anche di controllare i livelli di degrado che, quelle stesse cose e fenomeni trascurati, hanno prodotto. Nessuno propone rimedi e opere per impedire, all’origine, le attività che incidono pesantemente sul degrado dell’ambiente naturale e che compromettono, con il contesto, anche la libertà e la creatività che i cittadini esprimono attraverso i modi di pensare e di comportarsi. Però, a danno avvenuto, tutti poi si lamentano invocando un diritto alla qualità dell’ambiente e di vita e si attivano per chiedere interventi di risanamento (certamente più costoso di un intervento preventivo). Siamo proprio di fronte ad un controsenso se, in difesa dell’ambiente e della salute dei cittadini, scendono in campo proprio questi stessi che, sulla propria indifferenza e su un concetto di qualità improvvisato (forse confuso con un generico benessere), hanno consentito e consentono che si generino danni alle cose e alle persone.
Un caso drammatico estremo ed eclatante, di questi giorni, è lo scandalo dei rifiuti tossici, finiti nei territori della Campania, che hanno compromesso mortalmente lo sviluppo economico e la salute delle comunità locali coinvolte. Non vengono neanche a mancare, in questo quadro di degrado (spesso colpevolmente taciuto proprio dai responsabili politici dello sviluppo economico e della tutela della salute dei cittadini) quelle campagne di buoni propositi e iniziative esemplari, alle quali vengono affidate le speranze estreme di un cambiamento (a fronte di gravi condizioni ambientali e di drammatiche patologie), ma che, alla fine, quando si fanno i conti, portano solo a rilevare l’insostenibile costo delle bonifiche e dei risanamenti e ad annullare gli interventi in difesa dell’ambiente e della salute umana (esempi di questi casi, rilevanti e ben noti, sono presenti, in particolare, nei settori della siderurgia, dell’energia e della chimica).
Così, tutto viene rimandato all’atroce supplizio dello spietato ricatto occupazionale che fa spesso leva sia sulle difficoltà economico-finanziarie di attivare alternative (ad una produzione inquinante) che non comportino disastrose e irrecuperabili perdite di posti di lavoro, sia sulle attuali e immodificabili logiche produttive del regime economico liberista, sia sulla, ancora più fatale, conclusione, che siamo tutti tenuti in ostaggio da un mercato dei consumi, «libero» e globale, che in realtà non permette nessuna libertà, neanche quella estremamente punitiva di tornare indietro.
Non siamo, dunque, certamente diretti verso quel miglioramento sostanziale, della qualità della vita, che chiamiamo progresso umano. La mistificante qualità, alla quale fa riferimento il sistema produzione-consumo, è diventata, in realtà, un elemento chiave, di un meccanismo di difesa del sistema stesso: rendere sostenibili il degrado e la precarietà della sopravvivenza della popolazione e renderli, anche, funzionali all’esercizio del potere, offrendo, nello stesso tempo, una premiante condizione di benessere psico-fisico (con l’accesso ai consumi) per chi si dispone al consenso acritico. Un meccanismo efficiente per tenere sotto fermo controllo il contesto e soddisfare l’incontenibile avidità di chi, con questo sistema, si affanna a fare (o a cercare di fare) sempre più profitti.
È evidente che le dimensioni della qualità che sappiamo ricercare (se non veniamo deviati da altri interessi o dalla mancanza di buone informazioni e consapevolezze) non sono quelle false che danno accesso a sempre maggiori consumi, o all’innovazione tecnologica sempre più avanzata o alle economie di scala, tutte «qualità» insostenibili (perché non modulabili rispetto alla disponibilità di risorse rinnovabili e ai bisogni umani essenziali), ma che, oggi, sono, invece, imposte perché essenziali per i mercati dei consumi.
La qualità, quella non piegata da esigenze del mercato dei consumi (che inibiscono creatività e sinergie umane) e da interessi di potere e di profitto, riguarda, invece, il nostro «divenire», come persone e come società umana, il nostro saper interpretare ed entrare in sintonia creativa con gli equilibri dinamici naturali per generare fenomeni vitali di progresso umano.
Che la qualità (quella dell’uomo e non dei beni e dei servizi) non abbia proprietà estensive, che consentano di misurarla, è rilevabile dalla semplice osservazione che possiamo avere piccoli pensieri di grande qualità e, invece, grande articolazione di pensieri senza qualità. Il valore della qualità non è, dunque, accertabile e misurabile da eventuali alti livelli raggiunti con una somma di fattori quantitativi. Anche se questi sono ben individuati e argomentati e oggettivamente validati, per loro natura hanno riferimenti del tutto diversi da quelli del fenomeno qualità e, dunque, non possono essere usati per valutarne il merito.