La ricerca di qualità spiegata con i fumetti

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foto Arpat
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È l’iniziativa che l’«European Communication on Research Awareness Needs» ha deciso di mettere sul web nel sito che ha costruito e messo in rete a disposizione di quanti siano curiosi di comprendere un po’ meglio quali siano e quali debbano essere le regole ed i metodi che sono alla base di una ricerca clinica che abbia il crisma della autorevolezza e della trasparenza

«Si racconta che il primo test clinico della storia sia avvenuto nel 1747 su una nave della corona britannica. Il medico di bordo, per scoprire la migliore terapia contro lo scorbuto, distribuì vari preparati, secondo le conoscenze dell’epoca, ai marinai divisi a due a due. Uno di questi preparati era composto da arance e da limoni. Solo i due marinai che lo presero guarirono. Questo test risolse l’incertezza e rivelò la cura più efficace. Le cose sono ovviamente molto cambiate dal 1747 ma ora come allora l’unico modo per rispondere alle incertezze sui vantaggi e gli svantaggi dei trattamenti è fare studi clinici».
Comincia così, in modo semplice ed accattivante e con tono narrativo e divulgativo il bel fumetto animato (a stile Bruno Bozzetto) che potrete conoscere e seguire nelle pagine che l’Ecran (acronimo di European Communication on Research Awareness Needs) ha deciso di mettere sul web nel sito che ha costruito e messo in rete a disposizione di quanti siano curiosi di comprendere un po’ meglio quali siano e quali debbano essere le regole ed i metodi che sono alla base di una ricerca clinica che abbia il crisma della autorevolezza e della trasparenza.
Non è affatto un tema secondario, in questo periodo di grande confusione sulle questioni della sperimentazione e della validazione di teorie scientifiche e di terapie proposte, supposte o anche solo sussurrate. È uno dei problemi tipici di ogni cultura laica ed aperta ed uno dei temi maggiormente rilevanti della cultura contemporanea attorno a cui troppo di frequente ci si attorciglia senza comprenderne bene modalità e caratteristiche. Parliamo ovviamente di ricerca seria, con gambe robuste e con prospettive lunghe, ricerca fatta con tutte le garanzie di qualità e con quella sorta di tracciabilità, autorevolezza e ripetibilità che sono indispensabili per passare dalla fase dell’ipotesi a quella della verifica clinica a quella infine della immissione sul mercato.
La scarsa familiarità che il grande pubblico ha per le modalità con le quali è bene che sia condotto un valido studio clinico giustifica uno sforzo aggiuntivo finalizzato a rendere più semplici e comprensibili quelle procedure che vengono invocate dai centri di ricerca più autorevoli del mondo e che vengono erroneamente interpretate come fastidiosi rallentamenti o inutili complicazioni da coloro i quali invece ritengono che la vera ricerca debba essere libera da lacci e lacciuoli tipici di una visione troppo burocratizzata del problema. Senza rendersi conto che non di lacci e lacciuoli si deve parlare bensì di norme condivise che garantiscono sia chi fa ricerca seria sia chi, nelle fasi successive, si trovi a fruirne senza rischiare di cadere nella superficialità o nell’errore o addirittura nell’opportunismo furbesco.
Termini e concetti come «trial», «random», «doppio cieco» o «evidenza» non sono superflui nastri colorati che come addobbi natalizi possono (o non possono) essere disposti a mo’ di addobbo natalizio sull’albero della verità scientifica bensì fondamenta imprescindibili di ogni affermazione che voglia avere caratteristiche di vincolo e di garanzia generali.
Uno studio scientifico di cui ci si possa fidare deve ad esempio essere chiaramente descritto ed approvato non solo dagli stessi sperimentatori (che ovviamente potrebbero avere buone ragioni per mettere in secondo piano alcuni aspetti discutibili della ricerca) ma da un comitato etico indipendente, all’interno del quale devono trovare posto anche rappresentanti dei cittadini.
Le modalità di organizzazione e divisione dei gruppi ai quali si somministra il nuovo farmaco devono rispondere ad una logica di correttezza ed omogeneità (per evitare di dar luogo a risultati di difficile o errata lettura).
L’uso del placebo o del miglior farmaco esistente al momento, per la patologia che si intende investigare, devono servire a comprendere non se la nuova cura proposta abbia «una qualche efficacia» bensì se sia chiaramente più efficace delle precedenti, con miglioramenti misurabili della qualità di vita del paziente e senza effetti collaterali che potrebbero invalidarne o limitarne l’uso.
I test vanno effettuati «in doppio cieco», senza cioè che né il paziente né tanto meno lo sperimentatore sappiano a quale dei pazienti venga dato il nuovo farmaco ed a quale, invece, venga somministrata la terapia tradizionale (o il placebo); alla fine dello studio, i risultati devono essere esaminati da una terza équipe medica, diversa dalle precedenti e da quelle indipendenti.
Sono tante tappe, tutte fondamentali, senza le quali non solo non si può parlare di studio clinico qualificato e certificato ma nemmeno di procedure che difendano davvero sia la salute dei pazienti sia il loro portafogli, visto che sui risultati di quelle ricerche si giocano talora partite economiche di grandissimo rilievo economico e che la storia, anche recente, è piena di taroccamenti di risultati che lasciano gridare al miracolo per qualche giorno ed alla truffa per il resto del tempo.
Un’iniziativa bella, interessante e lodevole, che potrebbe trovare spazio in qualche ora di attività didattica nell’attività delle scuole, che si avvicinerebbero in maniera leggera e divertente alla logica dell’approfondimento di qualità anche fruendo di alcune simulazioni e di diversi giochi che nel sito accompagnano il visitatore alla scoperta di sistemi e logiche che dovrebbero governare ogni sforzo scientifico senza farsi affascinare più di tanto da affermazioni senza basi, studi senza prove o conclusioni senza logica.