Crudismo, una scelta con luci e ombre

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Bisognerebbe evitare forme di fanatismo alimentare che possono indurre a scordarsi di millenni di progresso umano lasciando per strada alcune buone abitudini conquistate col tempo, come quella di sottoporre alcuni cibi ad una cottura che li renda più sicuri, più mangiabili, più utili o più gustosi. Ecco i pericoli che si corrono

Da Carol Alt a Demi Moore, da Mel Gibson a Prince, l’ultima moda a stelle e strisce in fatto di alimentazione è il crudismo ovvero la scelta di consumare cibi rigorosamente crudi o al massimo con una cottura che non superi i 40°C con la convinzione che il cibo crudo sia cibo «vivo» e che quindi faccia solo bene all’organismo di chi lo assume.
Il raw food sta aumentando i propri proseliti divenendo in molti casi una vera e propria filosofia di vita (per altri una rischiosa abitudine) che si basa sull’assunto secondo cui, nella storia dell’uomo, sottoporre a cottura con il fuoco i cibi è un’abitudine tutto sommato «recente», senza pari con le consuetudini alimentari di tutti gli altri mammiferi che consumano cibi crudi e quindi più naturali (fatta eccezione, naturalmente, per gli animali domestici indotti a consumare alimenti cotti secondo le abitudini dei loro padroni).
Mangiare crudo eviterebbe di sottoporre gli alimenti a modificazioni dannose per l’organismo, scongiurerebbe l’inattivazione di una serie di sostanze preziose per l’equilibrio del corpo umano, garantirebbe lunga vita ed uno stato d’animo rilassato, meno aggressivo e più in sintonia con la natura. Gli aromi, i profumi, il gusto dei cibi rimarrebbero inalterati e non rovinati dalle modificazioni dovute al calore e la consistenza e le caratteristiche organolettiche dei cibi sarebbero rispettate e quindi più esaltate. Tutto vero? Non proprio, perché la realtà è più complessa e, da certi punti di vista, più problematica.
Andiamo con ordine. La cottura dei cibi certamente induce delle modificazioni (qualche volta sostanziali) nelle caratteristiche e nella composizione dei cibi: questo lo conosciamo bene ed, anzi, la trasformazione di quei cibi non solo deve essere vista come una conseguenza della cottura bensì come una vera e propria finalità del trattamento termico di ciò che mangiamo.
Se è vero, ad esempio, che la cottura determina una riduzione di vitamina B12 di alcuni tipi di carne o del latte o l’abbassamento quantitativo della capacità antiossidante degli utilissimi broccoli o una diminuzione dell’attività degli enzimi presenti nei cibi freschi è altrettanto vero che, allo stato naturale e quindi in condizioni di crudezza, sono presenti negli alimenti sostanze che possono svolgere una funzione negativa o addirittura lesiva nei confronti dell’organismo di chi li assume.
Facciamo qualche esempio: cuocere i cavoli (ma anche i fagioli, le patate dolci o il mais) ha l’effetto, fra gli altri, di abbattere il contenuto di glucosidi che sono responsabili di formazione di acido cianidrico (lesivo per l’organismo); i tioossazolidoni (anch’essi presenti nei cavoli ed anch’essi inattivati dalla cottura) hanno un’attività inibente il funzionamento della tiroide; nel bianco d’uovo non cotto è presente una sostanza, l’avidina, capace di legarsi alla biotina (vitamina H) rendendola inattiva; la cottura dei cereali integrali e dei legumi ha la proprietà, fra le altre, di eliminare quell’acido fitico che altrimenti determinerebbe un sensibile abbassamento dell’assorbimento dei sali minerali; un alcaloide glucosidico presente nella patata cruda, la solanina, è capace di inibire la colinesterasi e scompare solo con il trattamento col calore che pertanto ha un effetto protettivo nei confronti di chi si alimenta di quel tubero.
Cuocere il cibo, poi, proprio modificando la struttura stessa del cibo ha anche l’effetto di liberare alcune sostanze segregate nelle parti più «inespugnabili» dell’alimento, come nel caso, per fare solo un esempio, dei nutrienti riposti all’interno di cellule vegetali «corazzate» da robuste membrane cellulari come accade con il beta-carotene o con i carotenoidi in generale localizzati nei cromoplasti e disponibili per l’uomo solo dopo una cottura che li liberi dell’involucro nei quali sono contenuti. Insomma, la cosa è un po’ più controversa di quanto non voglia far apparire chi ha fatto la scelta del crudismo e la segue in modo un po’ troppo rigido ed univoco.
Ancora: il trattamento termico dei cibi ne riduce in maniera consistente il contenuto in germi, capaci di arrecare seri danni al nostro organismo. Non è roba da poco se si considera che ciò che mangiamo è oggetto delle nostre brame alimentari ma anche di quelle di mille tipologie di batteri e virus (dalla Salmonella all’Escherichia coli al Clostridium botulinum e si potrebbe continuare a lungo) che, se assunti dall’uomo, procurano malattie e conseguenze assai sgradevoli. Per non parlare proprio della consistenza stessa dei cibi, fattore non secondario se parliamo di gradimento al gusto, di maggiore palatabilità, di migliore digeribilità e quindi di superiore capacità nutrizionale: è il caso della carne, che sarebbe sostanzialmente immangiabile senza un trattamento col calore con la conseguenza che la consumazione di una bistecca risulterebbe impresa epica e comunque negata a chi non abbia una dentatura perfetta (a parte, ancora una volta, i rischi del consumo di carne cruda). Ma sulla carne (e sul latte, per evidenti motivi di interesse) torneremo a parlare.
Difficile prendere una posizione netta su argomenti come questi (il cibo e le sue modalità di assunzione è uno di quelli sui quali con più facilità si rischia di accendere vere e proprie guerre di religione): meglio affidarsi ad un po’ di sano buon senso evitando le estremizzazioni improprie. Mangiare cibo fresco è senz’altro cosa saggia e giusta, poiché molti principi nutrizionali vengono modificati e persi con la cottura (specie se protratta ed effettuata ad alte temperature). Questo però non vale per tutti i cibi (alcuni infatti migliorano con la cottura, perdono una buona parte del proprio potere tossico e vengono in qualche modo sterilizzati della pericolosa componente microbica e virale).
Bisognerebbe evitare forme di fanatismo alimentare che possono indurre a scordarsi di millenni di progresso umano lasciando per strada alcune buone abitudini conquistate col tempo, come quella di sottoporre alcuni cibi ad una cottura che li renda più sicuri, più mangiabili, più utili o più gustosi. Al tempo stesso andrebbe ricordato che una buona insalata (ben lavata) o una buona frutta (anche più di una) o degli ortaggi raccolti in campi privi di contaminanti hanno proprietà organolettiche e nutritive che in parte si perdono proprio con una cottura eccessiva. Un sapiente mix di cibi cotti con intelligenza e cibi crudi consumati con saggezza regala buon gusto, dispensa ottima salute ed evita antipatici problemi.

Carlo Casamassima, medico e gastroenterologo