Sepolti in un magazzino «cimeli» dell’Africa nera

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foto di Vito Stano
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In alcuni locali di proprietà della Curia provinciale di Foggia, sono stati rinvenuti in scatoloni numerose parti di esemplari di animali protetti: zanne d’avorio di elefante africano, statuette di piccole dimensioni anch’esse in avorio, una zampa d’elefante africano svuotata internamente e decorata, carapaci di tartarughe di mare di grosse dimensioni, pelli di boa, pelle di ghepardo, scorpioni e ragni in vetro

Nell’Africa nera se dici Big Five chiunque intenderà compiaciuto, altri vorranno vendere statuette in legno o batik nei quali sono ritratte le giornate o le pose dei grandi elefanti africani, dei velocissimi leopardi, dei placidi leoni, dei pesanti bufali o dei massicci rinoceronti. Invece in Italia, così come in molti altri Paesi del mondo, quando dici leopardo viene in mente un tessuto leopardato e non il runner della savana. Se dici elefante, immediatamente vien da pensare all’avorio e alle zanne strappate dalla viva carne del grande mammifero. Averli visti in più occasioni crea, di fronte ad una insolita notizia come quella che segue, una rabbia soffocata, inspiegabile ai meno sensibili.
Durante lavori di rifacimento, affidato alle cure del Corpo forestale dello Stato, di alcuni locali adibiti a magazzini di proprietà della Curia provinciale di Foggia, sono stati rinvenuti in scatoloni numerose parti di esemplari di animali protetti. Dopo la stupefacente scoperta il caso è passato nelle mani degli agenti della Cites di Bari, i quali hanno riconosciuto zanne d’avorio di elefante africano, statuette di piccole dimensioni anch’esse in avorio, una zampa d’elefante africano svuotata internamente e decorata, carapaci di tartarughe di mare di grosse dimensioni, pelli di boa, pelle di ghepardo, scorpioni e ragni in vetro. Tutti i resti animali, del valore commerciale di circa 50mila euro, risalenti probabilmente agli anni Sessanta, in passato sono stati addirittura esposti a San Giovanni Rotondo in una mostra dedicata alle missioni in Ciad.
Gli uomini della Cites di Bari hanno ovviamente identificato gli esemplari, che sono risultati essere tutti protetti dalla normativa internazionale Cites che regola il commercio e la detenzione di esemplari protetti in via di estinzione vivi o morti o parti di essi. Secondo tale normativa la detenzione di quanto ritrovato deve essere autorizzata da certificazioni rilasciate dal Corpo forestale dello Stato sulla base di documentazione che ne attesti la legale acquisizione.
La vicenda si è conclusa con il sequestro da parte degli agenti del Cites di Bari, per essere affidati temporaneamente ad una struttura della Forestale di Martina Franca al fine di essere utilizzati a scopo didattico, in attesa della destinazione definitiva del giudice.